“Lontano da Dio non ero felice”

Rosario Mormone, classe 1984, sarà ordinato presbitero dal vescovo Giuseppe il 28 giugno. Il percorso vocazionale, la preparazione e l’attesa.

di Antonietta Abete

“Quando ti metti a studiare o a scrivere ripeti: Signor, tu lo Spirito sei et io la tromba. Ma senza il fiato tuo, nulla rimbomba”. Così san Giuseppe da Copertino rispose ad un teologo francescano che gli domandava come conciliare gli studi con la semplicità del francescanesimo. Rosario Mormone – che della biografia dell’umile santo, insieme a quella di tanti altri giganti della fede, si è nutrito a fondo durante gli anni di Seminario – conserva la stessa semplicità di cuore.

Classe 1984, il giovane nocerino il prossimo 28 giugno sarà ordinato presbitero da mons. Giuseppe Giudice insieme a Vincenzo Spinelli nella Cattedrale San Prisco in Nocera Inferiore.

«Si risponde alla chiamata di Dio per amore, come accade anche nel fidanzamento e la gioia del cammino è tutta nascosta nel coltivare il rapporto con Lui», racconta.

Originario di San Giorgio a Cremano, da bambino ha vissuto qualche anno nell’hinterland milanese. Dopo la separazione dei genitori, è tornato a Nocera Inferiore insieme alla mamma per raggiungere i nonni e gli zii materni. Nella cittadina dell’Agro ha frequentato la scuola dell’obbligo e quella superiore ed è cresciuto nella fede nella comunità Santa Maria del Presepe, affidata in quegli anni a don Ciro Galisi.

La vita non gli ha fatto sconti, dopo la separazione dei genitori, ha perso prima il nonno e poi la mamma. Eppure questi eventi dolorosi non hanno scalfito il suo sorriso. Lo hanno reso, forse, più riservato. Sentimento che ha superato per ripercorrere insieme i tratti salienti del suo cammino vocazionale.

 Quando hai compreso che il Signore ti chiedeva di donargli la vita?

«Da ragazzino. Andavo in parrocchia tutti i giorni. Poi si rimanda, si prende tempo».

 Perché? Per timore?

«Si rimanda perché ci sono gli amici e i propri progetti di vita, i sogni e le comodità di casa propria. Non è facile lasciare tutto, all’inizio non si comprende a pieno il salto che si fa, ma si percepisce che la vita cambierà completamente. Non è come scegliere di fare il ragioniere o l’avvocato. Se decidi di diventare prete, lasci tutto e vai verso l’ignoto. E questo fa un po’ paura».

 Quali erano i tuoi progetti in quel periodo?

«Ero pieno di amici e di vita. Amavo lo sport, praticavo il ciclismo, mi sarebbe piaciuto continuare a livello agonistico ma le cose sono andate diversamente. Ho provato anche a studiare, ma ero il classico esempio di “ragazzo capace che non ha voglia”. Immaginavo di trovare un lavoro, formare una famiglia, avere dei figli. Cose semplici».

Che cosa accade ad un certo punto?

«Sono entrato in Seminario due volte. La prima volta avevo 21 anni, non ero pronto, ero troppo giovane, troppo pieno di vita. Forse, ero troppo pieno di me. Quel tentativo non è andato bene. Ho continuato la mia vita ma ho avvertito con più chiarezza che la mia strada era quella. Avevo vissuto le mie esperienze ma non ero felice, non ero contento. Così, dopo un attento discernimento, sono entrato la seconda volta in Seminario a 27 anni, ero più maturo e consapevole».

Ti sei sentito giudicato?

«No, non c’è stato nessun giudizio. La prima volta sono entrato con mons. Illiano, la seconda con mons. Giudice».

A casa come hanno accolto questa decisione?

«Il nonno e la mamma già non c’erano più. Mamma è mancata che avevo appena 16 anni. Nonna Emilia e zia Carmela – sono cresciuto con loro – hanno capito che la mia vocazione era al sacerdozio».

 Come sono stati gli anni di formazione?

«A Napoli mi sono trovato subito bene, gli anni in Seminario sono stati un momento bello della mia vita. Sono cresciuto. I superiori e gli animatori mi hanno aiutato a maturare, provo per loro grande gratitudine».

Che valore ha avuto lo studio nel tuo percorso?

«Mi ha aiutato a crescere e a maturare, con difficoltà, con sacrificio e tante rinunce. Quando penso agli esami fatti e al libretto universitario vedo la mano di Dio».

C’è una persona che in questi anni ti ha accompagnato in maniera particolare?

«Una figura fondamentale nel mio percorso formativo è stato padre Giuseppe Ferraioli. Ho passato tre anni a Roccapiemonte per il tirocinio pastorale: mi ha accompagnato, consigliato, dato suggerimenti. Una figura paterna. Un papà nella fede, che mi ha aiutato a crescere e a comprendere la bellezza del sacerdozio. È stato un modello per me, mi ha insegnato a lavorare con calma, con pazienza, senza andare di fretta».

Che rapporto hai con il vescovo Giuseppe?

«Un legame tranquillo, senza timori o paure. Ci siamo sempre confrontati molto e se c’era qualcosa che non andava, il Vescovo me l’ha detto serenamente. Sono molto legato a lui, è stato il Vescovo della mia formazione, mi ha accolto in Seminario, sarà lui ad ordinarmi. Una figura fondamentale».

Come ti senti alla vigilia di questo sì definitivo?

«Sono sereno. Sono ad una svolta decisiva per la mia vita e mi accingo a vivere questo passaggio con gioia».

Come ti stai preparando?

«Con la preghiera e il lavoro. Vivo ogni cosa con intensità. Al di sopra di tutto c’è la preghiera, la cura della relazione con Dio».

Che sacerdote desideri essere?

«Il compito del sacerdote è celebrare l’Eucaristia e confessare, il resto è un’appendice. Lo dice spesso anche mons. Giudice: diventiamo preti per celebrare i Sacramenti».

 

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