Il mercoledì del Papa
di M.Michela Nicolais*
Nel Padre Nostro “c’è un’assenza impressionante”: manca la parola “io”. Lo ha fatto notare il Papa, che riprendendo il ciclo di catechesi sul Padre Nostro ha ricordato che il cristiano prega con il “tu” e con il “noi”.
Davanti a Dio “non c’è trucco”, lui ci conosce così come siamo, nudi con la nostra coscienza. La preghiera non è “anestesia”, il monito ai 7mila fedeli presenti in Aula Paolo VI per l’udienza di oggi: è compassione che intenerisce il cuore di fronte alle tante miserie del mondo.
“Gesù vuole che i suoi discepoli non siano come gli ipocriti che pregano stando dritti in piedi nelle piazze per essere ammirati dalla gente”, esordisce Francesco: “Gesù non vuole ipocrisia!”.
“Davanti a Dio non c’è trucco che abbia potere, Dio ci conosce così, nudi nella coscienza, e fingere non si può”, dice ancora a braccio: “Alla radice del dialogo con Dio c’è un dialogo silenzioso, come l’incrocio di sguardi tra due persone che si amano: l’uomo e Dio”.
La preghiera cristiana, però, non scade mai nell’intimismo: “Nel segreto della coscienza, il cristiano non lascia il mondo fuori dalla porta della sua camera, ma porta nel cuore le persone e le situazioni, i problemi, tante cose: tutte le porta alla preghiera”.
“Mai si dice io” nel Padre Nostro: “Gesù insegna a pregare avendo sulle labbra anzitutto il ‘tu’, e poi, nella seconda parte, il ‘noi’: Perfino le domande più elementari dell’uomo – come quella di avere del cibo per spegnere la fame – sono tutte al plurale”.
“Non c’è spazio per l’individualismo nel dialogo con Dio”, il monito di Francesco: “Non c’è ostentazione dei propri problemi come se noi fossimo gli unici al mondo a soffrire. Non c’è preghiera elevata a Dio che non sia la preghiera di una comunità di fratelli e sorelle”. “La parola opposta all’io è il noi”.
“Nella preghiera, un cristiano porta tutte le difficoltà delle persone che gli vivono accanto”. “Se uno non si accorge che attorno a sé c’è tanta gente che soffre, se non si impietosisce per le lacrime dei poveri”, allora significa che il suo cuore è “di pietra”, il monito del Papa.
“Sentire compassione” è, invece, la parola d’ordine del cristiano: “Il Cristo non è passato indenne accanto alle miserie del mondo: ogni volta che percepiva una solitudine, un dolore del corpo o dello spirito, provava un senso forte di compassione, come le viscere di una madre”. “Ci possiamo chiedere”, l’invito ai 7mila presenti in Aula Paolo VI: “Quando prego, mi apro al grido di tante persone vicine e lontane? Oppure penso alla preghiera come a una specie di anestesia, per poter stare più tranquillo?”. In questo caso, “la mia non sarebbe più una preghiera cristiana”, puntualizza Francesco: “Perché quel ‘noi’, che Gesù ci ha insegnato mi impedisce di stare in pace da solo, e mi fa sentire responsabile dei miei fratelli e sorelle”.
“Ci sono uomini che apparentemente non cercano Dio, ma Gesù ci fa pregare anche per loro, perché Dio cerca queste persone più di tutti”. Nella parte finale dell’udienza, il Papa ricorda che “Gesù non è venuto per i sani, ma per i malati e i peccatori, cioè per tutti, perché chi pensa di essere sano, in realtà non lo è”. “Se lavoriamo per la giustizia, non sentiamoci migliori degli altri”, l’esortazione: “Impariamo da Dio che è sempre buono con tutti, al contrario di noi che riusciamo ad essere buoni soltanto con qualcuno, con qualcuno che ci piace”.
*Sir