Il commento all’Angelus di Fabio Zavattaro
La pagina del Vangelo di Luca di questa domenica ci fa riflettere sul discorso che Gesù propone alla folla che lo ha raggiunto da tutta la Giudea, da Gerusalemme, a Tiro e Sidone, scrive l’evangelista: è il cosiddetto discorso della pianura. Gioco di somiglianze di differenze con quanto scrive Matteo, nella pagina che conosciamo come il discorso della montagna, le beatitudini. Luca fa parlare Gesù, dopo la preghiera nella solitudine del monte, “in un luogo pianeggiante”. Matteo scrive che si rivolge ai presenti dall’alto di un monte. Anzi “del monte”: non luogo generico, dunque, ma una altura che evoca il Sinai.
Nella Bibbia sono molte le “vette di Dio”, non solo il Sinai, ma anche il Nebo, là dove Mosè vede la terra promessa, senza però raggiungerla. E poi l’Ararat, dove si sarebbe fermata l’arca di Noe; il Moira, il monte della prova di Abramo; il Tabor, l’altura della trasfigurazione, e gli Ulivi. Ma anche nell’Islam c’è un monte di Dio: l’Hira, la vetta dove a Maometto appare l’arcangelo Gabriele.
Nella pagina di Luca, il monte è dove Gesù “sceglie” i dodici e li chiama apostoli; dodici come le tribù di Israele. Li sceglie, dunque, e con essi scende per fermarsi “in un luogo pianeggiante”. L’evangelista sembra dirci che Gesù discende verso l’uomo, lo raggiunge. Come dire che è vicino ad ogni uomo e lo consola nei molti luoghi delle nostre povertà, delle nostre mancanze, delle nostre afflizioni. È un andare verso l’uomo che, affermava Benedetto XVI, “non ha soltanto bisogno di essere nutrito materialmente o aiutato a superare i momenti di difficoltà, ma ha anche la necessità di sapere chi egli sia e di conoscere la verità su sé stesso, sulla sua dignità”. L’uomo è amato da Dio e creato a sua immagine.
Nel suo discorso, in quella pianura, Gesù, con parole “forti e incisive”, dice Papa Francesco all’Angelus, “ci apre gli occhi, ci fa vedere con il suo sguardo, al di là delle apparenze, oltre la superficie, e ci insegna a discernere le situazioni con fede. Gesù dichiara beati i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati; e ammonisce coloro che sono ricchi, sazi, ridenti e acclamati dalla gente”. Quando Dio scende verso di noi, entra nella nostra storia, non rimane neutrale, prende posizione; soprattutto sta dalla parte di coloro che non hanno nessuno che si prenda cura della loro vita, e del loro bisogno, nessuno che assuma la difesa del loro diritto conculcato.
“Paradossale beatitudine” la definisce Francesco, e la ragione “sta nel fatto che Dio è vicino a coloro che soffrono e interviene per liberarli dalle loro schiavitù; Gesù vede questo, vede già la beatitudine al di là della realtà negativa. E ugualmente il ‘guai a voi’, rivolto a quanti oggi se la passano bene, serve a ‘svegliarli’ dal pericoloso inganno dell’egoismo, e aprirli alla logica dell’amore, finché sono in tempo per farlo”.
Una pagina, per riflettere sul senso profondo dell’avere fede: si tratta di “fidarci totalmente del Signore”; di “abbattere gli idoli mondani per aprire il cuore al Dio vivo e vero”. Solo il Signore può dare pienezza vera alla nostra esistenza. Molti oggi “si propongono come dispensatori di felicità: promettono successo in tempi brevi, grandi guadagni a portata di mano, soluzioni magiche ad ogni problema”. E qui “è facile scivolare senza accorgersi nel peccato contro il primo comandamento: l’idolatria, sostituire Dio con un idolo”. Idolatria e idoli non sono cose di altri tempi, afferma il Papa. Gesù ci apre gli occhi: “siamo felici se ci riconosciamo bisognosi davanti a Dio”. Ancora, “diventiamo capaci di gioia ogni volta che, possedendo dei beni di questo mondo, non ne facciamo degli idoli a cui svendere la nostra anima, ma siamo capaci di condividerli con i nostri fratelli”. Le Beatitudini, afferma Francesco “sono un messaggio decisivo, che ci sprona a non riporre la nostra fiducia nelle cose materiali e passeggere, a non cercare la felicità seguendo i venditori di fumo, che tante volte sono venditori di morte, i professionisti dell’illusione”.
Fabio Zavattaro (Sir)