LA DOMENICA DEL PAPA
“A voi che ascoltate io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano”. Sono le prime parole che leggiamo nel Vangelo di Luca, pronunciate da Gesù ai suoi discepoli; parole che, in ogni tempo, hanno interrogato la coscienza dei credenti: come si fa ad amare una persona che ci odia, che ci ha fatto del male? Quante volte implorando la giustizia, umana e divina, siamo portati a condannale l’altro, senza appello.
Benedetto XVI, nel secondo volume su Gesù di Nazareth, scrive: “La prima parola di Gesù sulla croce, pronunciata quasi ancora durante l’atto della crocifissione, è la richiesta di perdono per coloro che lo trattano così: Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Proviamo a ricordare quante volte, ascoltando, con grande rispetto e sofferenza, coloro che hanno subito violenza, sentiamo: non perdonerò mai, deve marcire in prigione.
“Padre, perdona loro…”. Sempre nel suo libro, Benedetto XVI scrive: “Ciò che il Signore ha predicato nel discorso della montagna, lo compie qui personalmente. Egli non conosce alcun odio. Non grida vendetta. Implora il perdono per quanti lo mettono in croce”. Dio ricco di misericordia per san Giovanni Paolo II; Padre misericordioso la cui gioia è perdonare, per Papa Francesco, e lì “c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il cristianesimo”.
Nessun buonismo a buon mercato, sia ben chiaro. Il Signore “sa benissimo che amare i nemici va al di là delle nostre possibilità – dice il Papa all’Angelus – ma per questo si è fatto uomo: non per lasciarci così come siamo, ma per trasformarci in uomini e donne capaci di un amore più grande, quello del Padre suo e nostro. Questo è l’amore che Gesù dona a chi lo ascolta. E allora diventa possibile”.
Il nome di Dio è misericordia, ricorda sempre Francesco. È il Signore “paziente e misericordioso, lento all’ira e ricco di grazia” del Salmo 145; è il Dio clemente e misericordioso che il mondo islamico invoca all’inizio di 113 delle 114 Sure del Corano. È il Signore della parabola dei due troni del Talmud ebraico, che siede e giudica il mondo intero, ma quando “vede che il mondo merita di essere distrutto per la prevalenza in esso del male, si alza dal trono di giustizia e siede sul trono di misericordia”.
L’amore per i nemici “non è un optional, è un comando”, afferma Papa Francesco all’Angelus, parole pronunciate dopo la concelebrazione conclusiva dei quattro giorni dedicati alla riflessione sulla violenza compiuta nei confronti dei minori: una “mostruosità” l’ha definita il Papa, “una manifestazione del male, sfacciata, aggressiva e distruttiva. Dietro e dentro questo c’è lo spirito del male il quale, nel suo orgoglio e nella sua superbia, si sente il padrone del mondo e pensa di aver vinto… Dietro a questo c’è satana”.
Il perdonare, la misericordia, non annulla la ricerca della verità, della giustizia; questa deve trionfare sempre; ma “sulle nostre bocche – diceva Giovanni Bachelet nella preghiera ai funerali del padre, ucciso dalle brigate rosse il 12 febbraio 1980 – ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”.
Gesù vuole che l’amore di Dio “trionfi sull’odio e sul rancore”, per questo, ricorda Francesco, “grazie al suo amore, al suo Spirito noi possiamo amare anche chi non ci ama, anche chi ci fa del male”. La logica dell’amore è “il distintivo del cristiano”.
Rispondere all’insulto e al torto con l’amore, “ha generato nel mondo una nuova cultura: la cultura della misericordia – dobbiamo impararla bene, e praticarla questa cultura – che dà vita a una vera rivoluzione” scrive Francesco nella Misericordia et misera.
“Dobbiamo perdonare perché Dio ci ha perdonato e ci perdona sempre. Se non perdoniamo del tutto, non possiamo pretendere di essere perdonati del tutto”, afferma il Papa all’Angelus. Se i nostri cuori si aprono alla misericordia, allora “proclamiamo davanti al mondo che è possibile vincere il male con il bene”. Non dobbiamo essere “collezionisti di ingiustizie” ma ricordare le cose buone: “Questa è la rivoluzione della misericordia”.
Fabio Zavattaro (Sir)