Maria Cernoia, nata Raiola, 58 anni fa ha lasciato Pagani per l’Australia. Una scelta d’amore e di vita, che non rinnega. Volle scappare da un Paese che non dava prospettive, per un sogno divenuto realtà.
di Salvatore D’Angelo
Quando partì per l’Australia aveva appena compiuto 18 anni, era il 1962 e per l’epoca era considerata poco più che una ragazzina. Nonostante tutto Maria Raiola decise di lasciare l’Italia, la città di Pagani che le aveva dato i natali, per andare incontro al suo futuro, incontro all’amore. Ad attenderla a circa 20mila chilometri di distanza, all’altro capo del mondo, nel porto di Brisbane, c’era il friulano Luigi Cernoia, colui che prenderà come marito e con il quale formerà una famiglia felice, grazie anche all’arrivo di quattro figli – Elio, Giampaolo, Franco e Susan – e cinque nipoti: Ethan, Giampaolo jr, Axel, Misha Elio e Lisa.
«Odiavo il mio Paese, non vedevo futuro»
«Odiavo il mio Paese, non vedevo futuro», ha raccontato Maria in collegamento Skype dalla sua casa di Townsville, città della costa nord-orientale dell’Australia, nello Stato del Queensland, affacciata sul mare della Grande barriera corallina. Un paradiso, il posto in cui vive adesso, ma quando arrivò 58 anni fa, dopo oltre un mese di navigazione, le cose furono molto complicate.
Da Pagani andò a Genova per imbarcarsi verso l’Oceania. Dopo tre giorni di navigazione scoppiò un incendio a bordo, costringendo tutti a rientrare in porto. Un presagio nefasto per i parenti di Maria, in particolare per la madre, che cercò di convincere la figlia a restare. Ma erano troppe le ferite aperte. La signora Cernoia, da sposata assunse il cognome del marito, non riusciva a comprendere perché a Pagani si potesse andare avanti solo se si aveva qualcuno di potente alle spalle. Il padre Eliodoro, originario di Angri, era morto subito dopo la guerra, a 28 anni. La madre, Luisa Califano, rimasta sola con tre figlie piccole, si rimboccò le maniche, trovò lavoro e attese 17 anni per il riconoscimento della pensione di guerra del defunto marito.
«Quando ci fu accordata, con tanto di arretrati, la metà se la prese chi ci aveva aiutato a presentare la domanda. In Italia non importava essere onesti, se non si aveva qualcuno che ti raccomandasse. Ho odiato quel sistema».
Una cappa opprimeva Maria, messa al bando ogni scaramanzia si imbarcò per il continente australiano. Con Luigi cominciò una vita di stenti, si lavorava in una fabbrica di ciabatte di gomma, a Brisbane le cose non andavano benissimo, ma «ero felice». Per trovare fortuna furono costretti a spostarsi dalla costa verso l’entroterra, nel deserto, per circa 2mila chilometri, stabilendosi a Mount Isa, una cittadina nata intorno a uno dei più importanti giacimenti minerari del mondo, una miniera da cui ancora si ricava piombo, argento, rame e zinco.
Maria è tornata in Italia solo quattro volte e ormai «non tornerò più, la mia famiglia è tutta qui»
«Mio marito lavorava in miniera e io accudivo casa e crescevo i figli. La casa era grande così creammo una piccola pensione, abbiamo ospitato per molto tempo due italiani, un siciliano e un sardo, e uno spagnolo. Poi i ragazzi crebbero e pensai di dedicarmi alla cucina».
Maria cominciò come aiuto cuoco per arrivare a diventare head chef nei ristoranti della regione. Nel 1987 la perdita di Luigi. Sei anni fa la decisione di seguire una parte della famiglia verso la costa, a Townsville. In oltre mezzo secolo, Maria è tornata in Italia solo quattro volte e ormai «non tornerò più, la mia famiglia è tutta qui».
Quando arrivò in Australia capì che qualcosa era cambiato: «Non fu facile inserirsi, ma eravamo tutti giovani e con tanta buona volontà. Il governo locale lo sapeva, ad accoglierci c’erano loro impiegati che ci chiedevano se avessimo avuto bisogno di qualcosa. Magari l’Italia fosse stata e fosse così, si sarebbe in paradiso».
Da allora ad oggi le cose sono cambiate? «L’Australia ha di bello che il governo aiuta gli emigranti, soprattutto quando vede che sono persone che hanno voglia di lavorare. Tra Brisbane, Sidney e Melburne ci sono tanti italiani, se non si stesse bene non sarebbero ancora tanti coloro che lasciano l’Italia per venire a lavorare e a vivere all’altro capo del mondo».