Vincenzo è affetto da Xia-Gibbs, malattia genetica rarissima. In Italia solo quattro i casi accertati. La diagnosi è arrivata dopo 11 anni. Il racconto di Italia e Giovanni, genitori del bambino nocerino, che grazie a Telethon hanno potuto dare un nome alla malattia del figlio. L’articolo pubblicato sul numero di Insieme di febbraio
Abbiamo capito che qualcosa non andava quando mio figlio aveva cinque mesi e più cresceva, più ci rendevamo conto che la situazione peggiorava», ma ci sono voluti undici anni per capirne il perché. In questa frase di Italia Attanasio è racchiusa l’incertezza in cui lei e suo marito, Giovanni D’Alessandro, hanno vissuto fino all’aprile del 2019, quando finalmente un medico ha individuato la malattia di cui è affetto il loro bambino, Vincenzo.
Una diagnosi inattesa e difficile: sindrome di Xia-Gibbs. Una malattia genetica rarissima, 110 i casi riconosciuti nel mondo. Nemmeno internet, che è sempre prodigo di notizie, ne fornisce un quadro esaustivo, quantomeno in italiano.
Nel nostro Paese sono stati accertati solo quattro casi. Insieme a Vincenzo di Nocera Superiore, 12 anni lo scorso dicembre, ci sono Simone, anch’egli dodicenne, Augusto di 5 anni ed Erika di 14 anni, l’ultima in ordine temporale a cui è stata diagnosticata la malattia. La Xia-Gibbs è una sindrome di recente scoperta, è avvenuta nel 2014 e la si deve al genetista Richard Gibbs. La diagnosi per Vincenzo è arrivata grazie alla ricerca di Telethon, che finanzia un progetto coordinato da Nicola Brunetti Pierri, professore di pediatria all’Università Federico II di Napoli a capo di un gruppo di ricerca del Tigem di Napoli.
La Xia-Gibbs è dovuta alla mutazione del gene AHDC1 e interessa una specifica proteina, crea disturbi comportamentali e cognitivi. L’aver conosciuto, dopo undici anni di ricerche e solitudine, il nome della malattia di cui è affetto il loro bambino per Giovanni e Italia è stato un sollievo, anche perché gli ha consentito di incontrare altre persone che vivono il loro stesso percorso. Da questo incontro sta nascendo l’Associazione italiana Xia-Gibbs, che consentirà di mettere in rete informazioni ed esperienze.
«Dopo anni di esami e ricerche genetiche ci eravamo rassegnati – ha raccontato Italia –, poi grazie a Telethon siamo stati inseriti nel progetto del professor Brunetti Pierri e così finalmente abbiamo conosciuto il nome della malattia di cui è affetto nostro figlio. Soprattutto abbiamo incontrato e stretto legami con altre persone che fanno il nostro percorso».
La storia di Vincenzo mostra quanto siano importanti la ricerca e le maratone di solidarietà: «Bisogna sempre sostenere Telethon – ha detto Italia – perché seppure per Vincenzo non si troverà una cura, si potrà fare qualcosa per i nuovi nati, mentre noi potremo sperare in una migliore qualità della vita». Vincenzo in questi anni è stato inserito a scuola, frequenta la quinta elementare: è stato alla “Settembrini” di Nocera Superiore ed ora è al primo istituto comprensivo di Nocera Inferiore.
È circondato dall’affetto dei genitori, da una rete di familiari e amici, da quando è stata rilanciata dalla maratona televisiva Telethon la sua storia sta sensibilizzando sempre più persone. Un abbraccio che ai D’Alessandro fa piacere, tuttavia non mancano i disagi e le preoccupazioni.
«Fino al 2018 – ha denunciato Italia – a mio figlio venivano riconosciute in convenzione 18 ore di terapia settimanale (Vincenzo fa riabilitazione con il metodo ABA, tra i più costosi, ndr), dal 2019 sono scese a 12 e da quest’anno sono 10, a 18 anni non saranno più riconosciute. Ma questo non vuol dire che mio figlio guarirà. Questo sistema deve cambiare. In passato ho anche pagato il tutor che affiancasse la maestra di sostegno, da quest’anno ci sono state riconosciute tre ore di assistenza specialistica scolastica». È evidente che per un caso come questo lo Stato dovrebbe fare di più.
Diagnosticata la malattia, Italia e Giovanni ora si batteranno perché a Vincenzo, e ai malati gravi e rari come lui, vengano riconosciuti diritti e dignità. Un altro obiettivo è, infatti, sensibilizzare le istituzioni locali affinché potenzino i centri di aggregazione, perché alla malattia non si sommi il ritrovarsi da soli.
Salvatore D’Angelo