Come si educano i giovani a vivere la paura? E come farlo in questo tempo di pandemia? Quale responsabilità pesa su adulti e ragazzi? Ne parla nel suo editoriale, la professoressa Rosanna Di Giamo.
di Rosanna Di Giaimo
«La modernità – affermava Zygmunt Baumann in Paura liquida del 2008 – doveva essere un grande balzo in avanti: via dalla paura verso un mondo liberato dal fato cieco e imperscrutabile, che è la serra di tutte le paure».
Ma al destino del mondo classico si sono sostituiti, nel mondo moderno, altri oggetti della paura: indigenza, oppressione, conflitti, i topos degli scrittori distopici che sono però anche i temi di importanti e noti studi.
Solo per citarne alcuni: La grande paura del 1789 di G. Lefebvre o La paura in Occidente di J. Delmeau, fino a J. Berchtold e M. Porret, La paura nel XVIII secolo.
Oggi la pandemia da Covid-19, che speravamo di poterci lasciare alle spalle con l’arrivo dell’estate, è la grande sfida globale che l’umanità deve affrontare. Eppure le immagini di tanti giovani che, in nome di un divertimento da onorare, hanno riempito piazze, discoteche, spiagge, locali, sprezzanti delle misure di sicurezza e del pericolo, e arroganti nel loro negazionismo, ci suggeriscono che, probabilmente, la paura non è un sentimento di tutti.
La scuola, come panacea di tutti i mali del mondo, ahimè, è stata trascinata in questo processo estivo e all’istituzione si chiede un contributo per una educazione al rispetto delle regole. Ma perché non parliamo anche dei tanti ragazzi che, invece, si formano al vivere civile donando il proprio tempo all’impegno sociale e politico serio?
E, allora, la paura non va esorcizzata negando il male che la genera (e credo che dietro ai comportamenti di indicibile superficialità ci sia il bisogno di cancellare l’annus horribilis), ma va tradotta in atteggiamenti di responsabilità collettiva.
Il primo giorno di scuola potrebbe essere dedicato, per esempio, ad un dibattito su questo tema.