Mons. Domenico Sorrentino presenta la fgura di Carlo Acutis, morto a soli 15 anni per una leucemia fulminante. A novembre del 2019 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto riguardante un miracolo attribuito alla sua intercessione. Un giovane eucaristico, che ha fatto della sua breve esistenza una rampa di lancio verso il Cielo.
di Salvatore D’Angelo
Un giovane dei nostri tempi, morto a 15 anni il 12 ottobre del 2006, che oggi sarà proclamato beato. Il Vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino ha scritto un libro su Carlo Acutis, che riposa nel santuario della Spoliazione della città di san Francesco. Un testimone di santità che mons. Domenico Sorrentino definisce «un giovane innamorato di Gesù e di Maria, sulle orme di Francesco d’Assisi».
Eccellenza, Carlo Acutis è un giovane eucaristico. Per lui la Comunione era «l’autostrada per il Cielo». Come avrebbe vissuto la sospensione delle celebrazioni pubbliche, lo stare lontano da Gesù Eucaristia? Quale testimonianza avrebbe dato?
«Avrebbe sofferto tanto. Ma al tempo stesso, avrebbe avuto la capacità di sentire il Signore eucaristico “vicino” nonostante la distanza. San Francesco faceva adorare il Signore “in tutte le chiese del mondo”. Non c’è distanza per chi ama. Naturalmente la normalità è la partecipazione fisica».
Il Papa nella Christus vivit lo indica come modello per un uso positivo dei nuovi mezzi di comunicazione. Sono una costante del nostro quotidiano; la pandemia li ha fatti diventare imprescindibile punto di riferimento per la preghiera. Bisogna però fare ordine. Anche il Santo Padre ad un certo punto ha messo in guardia dalla virtualizzazione dei sacramenti. Quale aspetto possiamo cogliere nella vita di Acutis per riprendere gradualmente il contatto con la realtà?
«Non si celebra per televisione: ci si unisce, in caso di impossibilità a partecipare, e in attesa della partecipazione. Carlo ci avrebbe aiutato a ben usare i media perché essi siano un aiuto e un’integrazione, non una sostituzione. Quanto il Santo Padre ci ha ricordato è veramente importante. Carlo aveva il dono di non farsi dominare dal “mezzo”, ma di “umanizzarlo”. Dobbiamo imparare questa “ginnastica”, e il prossimo beato Carlo è un ottimo maestro».
Il suo attaccamento al Santissimo Sacramento cosa ci dice?
«Per lui l’Eucaristia era Gesù. Né più né meno. Come dev’essere per tutti noi. Al punto che una volta, a chi gli parlava di un pellegrinaggio a Gerusalemme per calcare le orme fisiche e storiche di Gesù, replicò che Gesù lo troviamo molto più concretamente nell’Eucaristia di quanto non lo si possa trovare in un pellegrinaggio in Terra Santa. Senza negare, ovviamente, che questo possa aiutare».
Ideare una mostra dei Miracoli eucaristici la dice lunga sulla devozione di Carlo all’Eucaristia, ma anche sulla sua capacità di vivere la rete…
«Voleva a qualunque costo mettere in evidenza la presenza reale di Gesù nel Sacramento. Farlo attraverso i miracoli eucaristici significa dare risonanza a dei segni che Gesù Cristo stesso ha scelto per rinvigorire la fede del suo popolo. Di fronte all’Eucaristia rischiamo sempre la perplessità dei primi ascoltatori di Gesù, come ce la presenta il Vangelo di Giovanni al capitolo VI: “Questo linguaggio è troppo duro”. Ci vuole tanta fede. Carlo sentiva che i segni dati da Gesù potevano essere di grande aiuto in un tempo di poca fede. Perché non farli conoscere? E quale mezzo più rapido di internet? La rete diventava la rete di Gesù».
È un testimone autentico dell’essere cristiani per i giovani, e non solo, in un’epoca dove scarseggiano i testimoni.
«Assolutamente. Una figura fatta per attirare i giovani, per un cristianesimo bello, gioioso, ma anche aperto alla carità. Non va dimenticato l’amore di Carlo per i poveri e la sua capacità di condivisione».
Il beato riposa ad Assisi. Dopo la morte a Monza fu sepolto nel cimitero della cittadina umbra e dall’aprile del 2019 il suo corpo è nel Santuario della Spoliazione. Cosa c’è di san Francesco nella vita di Carlo Acutis? Cosa potrebbe accomunarli?
«Tanto, anche se in apparenza sono tanto lontani e tanto diversi. L’ho spiegato ampiamente nel libro “Originali non fotocopie”, che mette a confronto proprio Francesco e Carlo. Un filo profondo li unisce in molti aspetti. Mi limito ad uno, quello fondamentale, che è anche messo molto in evidenza dal Santuario della Spogliazione. Qui Francesco disse, mentre si spogliava di tutto: “Non più padre Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli”. Carlo, con una sintesi da Twitter, diceva la stessa cosa in questi termini: Non io, ma Dio».
La morte di un giovanissimo crea smarrimento, sconforto, angoscia. Un dramma per i genitori, ma anche per chiunque sia toccato dalla notizia. In questi casi qual è la volontà di Dio? La storia di Carlo e della sua famiglia potrebbe essere un conforto per quanti vivono un lutto così doloroso?
«Certamente. La vita è un mistero. E la morte di un giovanissimo lascia senza parole. Ma quando il cuore è pieno di Dio, anche una disgrazia come questa può diventare una grazia. È ciò che è capitato a Carlo e alla sua famiglia. Sì, sulla sua tomba si può trovare anche tanto conforto».
Dio ha un progetto per ognuno, Carlo avrebbe detto «originali, non fotocopie». Secondo lei qual è il segreto per esserlo?
«La nostra originalità è nel DNA che Dio stesso ci ha dato. Nessuno come il Creatore sa chi siamo, per che cosa siamo fatti, qual è la nostra missione: in una parola, la nostra “originalità”. Più ci si lascia conquistare da Dio, e più si salvaguarda la propria originalità. Quella vera».