Rinascere grazie ad un “sì”

Cinquantacinquemila italiani oggi vivono grazie ad una donazione di organi. Eppure, in media, 9mila persone sono in lista d’attesa per un trapianto. Sud maglia nera per assenso agli espianti, ma c’è un dato che regala speranza: i giovani sono i più disponibili a donare. In occasione della Giornata Europea per la donazione e il trapianto di organi, abbiamo fatto il punto con Flavia Petrin, presidente nazionale dell’AIDO.

di Mariarosaria Petti

Una vita che si spegne ne può riaccendere un’altra. Donare organi, tessuti e cellule è un gesto di grande generosità, può salvare altre persone ed essere un ultimo segno concreto di umanità. In Italia, cresce il numero di trapianti: miglioramenti ancora di limitata entità, ma che fanno ben sperare per il futuro.

Divario Nord-Sud

Però, il nostro è un Paese a due velocità: la frattura tra Nord e Sud si sconta anche in tema di donazione degli organi. Il Meridione, infatti, è maglia nera per l’attività di donazione nel suo complesso. Nel 2019, si passa, ad esempio, dai 49,5 donatori per milione di popolazione della Toscana agli 8,6 della Campania. Le percentuali di dissenso alla donazione del Centro-Sud sono preoccupanti: in media 3 potenziali donatori su 10 non arrivano al prelievo a causa di un rifiuto rilasciato in vita (dissensi registrati in Comune al rinnovo del documento di identità) o per l’opposizione dei familiari (in caso di non espressione del congiunto). Un tasso di opposizione che nel 2019 ha causato l’esclusione di 861 potenziali donatori, determinando – in proiezione – 2.200 trapianti in meno. Dati che si ripercuotono sulle liste d’attesa, più lunghe e che tagliano fuori una significativa fetta di potenziali fruitori. Si passa dai 3 anni e sei mesi circa di attesa per un trapianto di cuore ai 4 anni e 3 mesi circa per uno di pancreas.

In occasione della Giornata europea per la donazione e il trapianto di organi, che ricorre il 12 ottobre, abbiamo fatto il punto della situazione con Flavia Petrin, presidente nazionale dell’AIDO.

Presidente, è difficile promuovere una cultura della donazione di organi? Quali sono i principali ostacoli?

Non è difficile, ma richiede tanta elasticità e capacità di adattare il linguaggio ai propri interlocutori del momento. Si tratta di sviluppare capacità di dialogo con le istituzioni sanitarie e quindi i dirigenti di AIDO devono essere formati con solide basi di competenza, ma devono saper parlare al cuore della gente quando, per esempio, vanno in piazza, evitando inutili tecnicismi. Il linguaggio semplice e diretto è la carta vincente nelle campagne di sensibilizzazione che AIDO svolge da decenni nelle scuole, dove è molto ben accetta e dove nel corso degli anni ha parlato a centinaia di migliaia di alunni e studenti.

La legge 91/1999, che regola la donazione e il trapianto degli organi, disciplina anche l’anonimato di donatori e trapiantati. È un tema aperto, potrebbe cambiare qualcosa?

È molto interessante il dibattito che si è acceso in questi ultimi tempi sul tema dell’anonimato. Si sta verificando in questi tempi un significativo cambiamento nella sensibilità della gente e nella percezione delle problematiche connesse al superamento dell’anonimato. Il Parlamento si è rivolto al Comitato Nazionale di Bioetica con un quesito specifico. E il Comitato ha risposto che si può immaginare di superare l’anonimato seppure in un contesto di protezione delle persone o delle famiglie più fragili psicologicamente.

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