I nonni riescono ancora a trasmettere la fede ai nipoti? Contano più le parole o l’esempio? Ne abbiamo parlato con fra Marco Vianelli, direttore dell’Uffcio Nazionale per la pastorale della famiglia, il primo religioso a ricoprire questo incarico.
di Antonietta Abete
Fino allo scorso anno fra Marco Vianelli è stato parroco ad Assisi , nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, il cuore della spiritualità francescana. Poi, nell’agosto del 2019, la presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, con una scelta un po’ contro tendenza, gli ha affidato la responsabilità dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia. È il primo religioso a ricoprire questo incarico.
Un frate alla scrivania
Quando ci siamo incontrati nel suo ufficio, in via Aurelia a Roma, mi è sembrato “insolito” vedere un frate, con tanto di saio e sandali ai piedi, seduto dietro una scrivania. «Una vita completamente cambiata» ho detto. Più che una domanda, la mia è stata una constatazione a cui fra Marco, con l’animo gioioso di chi ha scelto di donare la sua vita a Cristo seguendo il modello del poverello di Assisi, ha aggiunto: «Direi rivoluzionata! Ma è quello che il Signore mi ha chiesto. La famiglia in crisi o che ha problemi con il fglio – che fino allo scorso anno era il mio modo ordinario di accompagnare le famiglie – è scivolata un po’ più lontano. Per fortuna, ho ancora in testa la faccia di Maria, Antonio, Davide, Alessandra. E il lavoro che l’ufficio svolge al servizio degli uffici diocesani e di quelli regionali arriva in qualche modo anche a loro».
Alle spalle ha un lungo impegno al servizio della famiglia, fatto di cura e accompagnamento delle coppie che vivono momenti di crisi e fragilità. «Ci sono percorsi che non si possono improvvisare – spiega –, perché chiedono formazione ed esperienza: la famiglia va prima di tutto amata, poi compresa e accompagnata». Ad Assisi da 40 anni i frati francescani si occupano di discernimento vocazionale, grazie all’intuizione di padre Giovanni Marini che per primo comprese che l’evangelizzazione non può essere distinta dalla dimensione vocazionale, nella sua duplice veste: matrimonio e consacrazione.
Assisi, culla dove curare le famiglie ferite
«Padre Giovanni ci ha formato a questa visione dell’annuncio che non può prescindere da una chiamata per un servizio. Poi, negli anni, con alcuni frati abbiamo cominciato a ragionare su come accompagnare le famiglie. Giovanni e la sua equipe si sono inventati corsi sull’affettività, corsi per fidanzati, e molti giovani passano da Assisi per lasciarsi provocare sulla chiamata del Signore». Anche la Serva di Dio Chiara Corbella Petrillo ha fatto tappa qui con il marito Enrico, sotto la guida di fra Vito D’Amato.
Insieme a fra Marco proviamo a parlare di nonni, di come è cambiato il loro ruolo in questo tempo delicato che stiamo vivendo, dell’apporto che possono dare quando si parla di trasmissione della fede alle nuove generazioni.
Il 2 ottobre abbiamo celebrato la festa dei nonni che, dopo i mesi difcili del lockdown, ha assunto un signifcato ancora più particolare. Qual è stato il ruolo dei nonni in questa pandemia?
I nonni sono stati gli esclusi, gli untouchables, perché erano i soggetti più deboli e andavano tutelati e protetti. Ci siamo
dovuti abituare a vivere l’affetto a distanza, a volergli bene mantenendo le distanze. È stata una fonte di grande sofferenza per tutti: per i nonni, per i nipoti e per le famiglie.
Ci siamo trovati all’improvviso di fronte ad uno scenario completamente cambiato. I nonni, che secondo i dati Istat sono il vero welfare del Paese, sono dovuti uscire di scena.
Quello che prima era normale, di colpo, non lo è stato più. Prima della pandemia, quando le famiglie erano oberate di lavoro, i nonni accompagnavano i nipoti a scuola, a danza, a musica. Preparavano il pranzo mentre i figli lavoravano e gli
riconsegnavano i bambini la sera. Tutto questo, anche nella fase 2, non è stato più così facile. Era un tempo in cui i nonni
dovevano rimanere ancora fuori da questo gioco. In questa fase hanno manifestato tutta la loro fragilità. E la gratitudine,
l’affetto nei loro confronti è passato per un linguaggio privativo, perché tanti gesti non si potevano fare.
Abbiamo quasi tutti nel cuore il ricordo di un nonno che ci ha insegnato le prime preghiere. Che ruolo hanno i nonni nella trasmissione della fede?
Quando parliamo di nonni, siamo portati a pensare ai nostri nonni, quelli di 80 anni con i capelli canuti, che dicevano il
Rosario prima di andare a dormire e la domenica, se dormivi da loro, ti tiravano giù dal letto per portarti a Messa. In realtà, ci sono nonni che sono ancora impegnati nel mondo del lavoro. Allora diventa necessario fare delle distinzioni. La fatica della trasmissione della fede passa anche attraverso una generazione di genitori e di nonni che ha molta più difficoltà a dialogare con le nuove generazioni, perché il gap generazionale ha davvero creato una frattura, è il primo tempo nella storia dell’uomo in cui i nipoti hanno qualcosa da insegnare ai loro nonni. La trasmissione del sapere si è invertita e i nonni, ma anche i genitori stessi, si sentono spiazzati e inadeguati a dover accompagnare nel mondo le nuove generazioni.
Qual è l’immagine di nonni a cui fa riferimento?
Non ho approfondito l’argomento ma penso alle generazioni che hanno vissuto il ’68, il Concilio, e non hanno “digerito” bene tutto quello che è accaduto. Penso agli anni bui della Repubblica, alle Brigate Rosse, al boom economico e alla crisi finanziaria: molti hanno fatto fatica a tenere insieme fede, economia, vita sociale e crisi della politica. E oggi sono un po’ più smaliziati, delusi, anche da un punto di vista di fede. E questo, forse, nella trasmissione della fede ai nipoti ha generato un meccanismo che si è un po’ inceppato.
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