Terrorismo, fondamentalismo, violenza continuano a riempire le pagine di cronaca di tutto il mondo. Anziché interrogarci su cosa fare, la politica italiana si è divisa sulle responsabilità, sui porti chiusi o aperti. Non è più tempo di fare il gioco del divisore per eccellenza. L’editoriale del nuovo numero di Insieme, in distribuzione da domenica.
di Salvatore D’Angelo
Quanto accaduto in Francia lascia sgomenti. Le cronache d’Oltralpe ci hanno purtroppo abituato a notizie di simile orrore. Gli attentati di matrice islamica, come quello accaduto il 29 ottobre nella basilica di Notre-Dame a Nizza, hanno seminato «morte in un luogo di amore e di consolazione».
Due donne, una decapitata vicino all’acquasantiera e una pugnalata, morta poco dopo a causa delle ferite; il sacrestano sgozzato. Una persona ferita sul sagrato. Vittime di una ferocia e brutalità che appare quasi riduttivo definire violenza terroristica.
Papa Francesco ha pregato per loro, per le loro famiglie e per la comunità francese, affinché «la violenza cessi, perché si torni a guardarsi come fratelli e sorelle e non come nemici, perché l’amato popolo francese possa reagire unito al male con il bene».
Martiri come padre Jacques Hamel, sgozzato il 26 luglio 2016 al termine della Santa Messa nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, presso Rouen. I cristiani, i cattolici, non devono diventare «un bersaglio da uccidere», hanno ribadito i vescovi di Francia, denunciando l’attentato «indicibile» che ha colpito la basilica sulla Costa Azzurra.
Lo gridiamo forte anche noi. Eppure il sangue continua a scorrere. Nel mirino anche i più piccoli, come i bambini trucidati in Camerun sabato 24 ottobre. Un «atto tanto crudele e insensato che ha strappato alla vita i piccoli innocenti mentre seguivano le lezioni a scuola», ha condannato il Pontefice.
Terrorismo, fondamentalismo, violenza che è anche conseguenza della perdita di senso e di identità da parte dell’uomo. Abbiamo mollato gli ormeggi. Più facile (comodo?) bersagliarci su cause e conseguenze, incolparci reciprocamente, che trovare soluzioni condivise.
L’assassino di Nizza, almeno dalle prime ricostruzioni, era arrivato a Lampedusa a settembre scorso. Dopo la quarantena, il 9 ottobre era sbarcato a Bari e da lì ha raggiunto clandestinamente la Francia. In venti giorni ha meditato e messo in atto il piano assassino.
Sicuramente non si è trattato di un gesto d’impeto, probabilmente alla base della traversata del Mediterraneo c’era già una motivazione violenta.
Però anziché interrogarci su cosa fare, la politica italiana si è divisa sulle responsabilità, sui porti chiusi o aperti, sulle politiche migratorie. In questo modo non si va da nessuna parte. Si resta nelle sabbie mobili. Facciamo il gioco del divisore per eccellenza.
Ricostruiamo, a partire dal nostro piccolo – famiglia, parrocchia, amici, lavoro – la comunità sfilacciata e minata da lotte intestine che ci fanno perdere di vista l’essenziale. Ripetiamo insieme a padre Hamel le parole pronunciate ai due jihadisti prima che lo assassinassero: «Vattene, Satana!», «lontano da me, Satana!».
Non dividiamoci, ritroviamoci «uomini e donne che per amore del Signore si sono adoperati senza sosta nel servizio dei più poveri e a favore dello sviluppo umano, sociale e culturale di tutti i popoli» (Lettera di papa Francesco sull’Europa, 22 ottobre 2020).