Abbiamo bisogno di Betlemme

A questo Natale mancheranno le persone che non ci sono più. Solo alla mangiatoia di Betlemme, come accade ai bambini nel letto dei genitori, possiamo ritrovare la pace, la speranza e la luce.

di Giuseppe Pecorelli

Arrivano nel cuore della notte come angeli dispettosi, a piedi scalzi, di corsa. Salgono sul letto e, in dormiveglia, trovano lo spiraglio libero tra mamma e papà. È lì che i bambini piccoli trovano rifugio intrufolandosi sotto le coperte. Hai voglia a dire che il loro letto è più comodo, che gli lasci una lucetta accesa perché non abbiano paura e che pure i mostri stanno a dormire.

Il piccolo intruso dorme beato mentre il povero genitore si ritrova gomiti nel costato e piedi sul viso. I bambini non stanno mai fermi, neanche in un letto, e si capovolgono, si allargano, si contraggono e si distendono. Trapezisti da circo o provetti ginnasti in due metri per due. Papà e mamma sanno bene che pagheranno quello spettacolo all’indomani con gli occhi lacrimosi di sonno e le ossa e i muscoli infiacchiti e un po’ dolenti per la mancanza di riposo, eppure – tutto sommato – ne sono felici.

È una vera gioia della vita. Prima o poi i figli impareranno a dormire da soli, anzi vorranno stare lontano un miglio da te e ti ritroverai in un letto più comodo e più vuoto, dentro al quale qualche volta non riuscirai a dormire per la nostalgia dell’angelo dispettoso. Il letto di mamma e papà è un po’ come la mangiatoia di Betlemme, dove quest’anno arriveremo come i bambini che si svegliano di notte e vedono buio intorno. E hanno paura.

Negli anni passati, di questi tempi, non avremmo mai immaginato che ci saremmo ritrovati a festeggiare il Natale con le mascherine a proteggere bocca e naso, con gli igienizzanti in tasca e pronti all’uso, con le distanze interpersonali da mantenere col metro (le distanze interpersonali a Natale!).

Sarà un Natale privo dei festeggiamenti più superficiali. Ci dicono che avremo qualche luce in meno, i fuochi d’artificio saranno radi e remoti come eco degli anni passati, non ci saranno i tradizionali strusci per fare gli auguri a chi non senti e vedi per altri 364 giorni. Trenta o più commensali non siederanno al tavolo imbandito della vigilia e del pranzo del 25 dicembre.

In realtà quel che addolora è ben altro. A questo Natale mancheranno le persone che, contagiate dal virus o per tante al-
tre ragioni di salute, non ci sono più. A volte sembra che ci siamo assuefatti alla morte e che non ci sconvolgano più le oltre 52000 vittime della pandemia (il dato è fermo al momento in cui scrivo). Ancora peggio, sembra che i morti ci addolorino solo se ci “appartengono”, se sono nostri parenti o amici.

Cinquantaduemila vittime, migliaia ricoverati in ospedale. Non si ha voglia né di fuochi né di abbondanti libagioni. C’è invece bisogno come il pane del piccolo Gesù che nasce: la nostra speranza è riposta in quel Neonato. È alla mangiatoia di Betlemme, che come i bambini nel letto dei loro genitori, troviamo sicurezza, pace, speranza, luce, calore. È lì che ci aspettano Gesù, Giuseppe e Maria.

(Foto di Salvatore Alfano)

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È tempo di concedersi una pausa dopo mesi difficili, perché sappiamo che ci attende un autunno pieno di sfide: dall’economia alla sanità, dalla crisi energetica alla guerra in Ucraina che miete vittime e semina dolore. Uno sguardo anche alle sfide che riguardano da vicino il nostro territorio nell’editoriale di Salvatore D’Angelo.