«Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade. Ho tanta stanchezza sulle spalle. Lasciatemi così come una cosa posata in un angolo e dimenticata». È il 26 dicembre 1916.
L’Italia è in guerra da più di un anno. Il poeta soldato Giuseppe Ungaretti si trova a Napoli in licenza dal fronte. Un momento di tregua.
Al poeta, interventista convinto, sono bastate, però, poche battute per interiorizzare l’orrore del conflitto e, ora, non ha voglia di mescolarsi alla folla festosa nei vicoli della città ma resta al caldo rassicurante delle «quattro capriole di fumo del focolare». Non c’è Natale nemmeno per il compagno massacrato sul Carso «con la sua bocca digrignata volta al plenilunio». Il mondo conterà 15 milioni di vittime e 34 milioni di feriti.
Questo Natale al tempo del Covid-19, lontano dai vapori alcolici degli aperitivi, dai rumori di una musica poco celestiale, potrebbe essere stata un’esperienza inedita per tanti ragazzi. Chissà, potrebbero aver recuperato il significato originario della Natività: la riconciliazione tra uomo e Dio o, più laicamente, tra uomo e natura. Potrebbero aver sentito, come il poeta Ungaretti, che, poi, di far bagordi non c’è motivo alcuno di fronte al milione e sessantacinquemila morti per Covid nel mondo. E non è finita.
Chissà, potrebbero aver avvertito, anche per una notte sola, quella in cui un Uomo è nato per redimere l’umanità intera, che la tragedia che stiamo vivendo ci riguarda tutti. E che ognuno è chiamato a fare la propria parte.
Rosanna Di Giaimo