Negli orti dei generosi crescono le rose

Nel 2020, l’ego si è espanso a dismisura come fanno le nuvole prima che piova. Dovremmo invece metterci nei panni del nostro prossimo e educarci al sentimento della compassione

Secondo il dizionario inglese “Collins” la parola che sintetizza il 2020 è stata “lockdown”, termine che noi italiani potremmo tradurre con “chiusura generale”. Altri vocaboli-chiave dell’annus horribilis sono stati coronavirus, pandemia, distanziamento sociale, autoisolamento, igienizzante, contagio, crisi.

Insomma nulla di buono. L’augurio è che, nel 2021, i termini più in voga possano essere vaccino o anticorpo, che per certi versi sono sinonimo di salvezza, rinascita, vita.

All’inizio dell’emergenza sanitaria, quando tutti siamo stati spiazzati da un morbo davvero inimmaginabile, qualcuno aveva azzardato la previsione che il virus ci avrebbe resi migliori, ma l’impressione è che non stia andando proprio così, anche se l’umanità è troppo varia perché si possa generalizzare.

È certo però che, nel 2020, abbiano avuto un periodo di particolare fioritura gli orticelli personali, dove in troppi si sono rifugiati. L’erbaccia della gramigna vi è cresciuta rigogliosa infestando le piante buone. È venuta su un po’ alla volta annaffiata dall’egoismo di chi non ha potuto rinunciare a un cenone o a una festa con gli amici, di chi s’è inventato mille scuse pur di non indossare una semplice mascherina, di chi proprio non ha potuto rinunciare a far capannello, di chi ha avuto finanche il coraggio di uscire di casa con la febbre o un certificato di positività al virus.

L’ego si è espanso a dismisura come fanno le nuvole prima che piova. Addirittura qualcuno ha avuto la sfacciataggine di dire che in fondo «muoiono solo gli anziani o chi ha già altre malattie» e, incurante, se n’è andato per la sua via. Inutile dire quanto sia aberrante sostenere, ma ancora prima pensare certi concetti. Si sa che la guerra non esiste fino a quando le bombe non cadono nel nostro orticello. In quel caso la guerra fa male ed è terribile. Ma prima no.

Che m’importa se una bomba butta a terra la casa del vicino. E, d’altra parte, si è sempre tanto coraggiosi nell’affrontare la sofferenza altrui. E così, mentre c’è chi è morto e chi ha sofferto per la sua morte, chi ha combattuto nella trincea di un ospedale, qualcuno si organizzava per brindare alle vigilie di Natale e Capodanno. Centinaia di morti al giorno dimenticati nel botto di uno spumante.

Dovremmo invece metterci nei panni del nostro prossimo ed educarci al sentimento della compassione, cioè del soffrire insieme agli altri per i loro e non solo per i nostri accidenti. Gli esempi di riferimento non mancano. All’egoismo di alcuni corrisponde, per fortuna, la generosità di altri che lasciano i propri orticelli per uscire fuori nei prati della solidarietà.

E, di questi tempi, ci vuole coraggio per curare e consolare gli ammalati e le loro famiglie, a rischiare per portare un pasto caldo a chi vive in strada, per dire “io ci sono” in ogni modo possibile. Negli orti dei generosi crescono le rose.

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