«Gravi responsabilità davanti a Dio». Il cardinale Fernando Filoni ricorda gli anni a Baghdad durante la guerra del Golfo e il significato della visita del Papa in Iraq iniziata venerdì 5 marzo. Sul numero di marzo l’intervista integrale
È abituato alle terre di frontiera come ai sacri Palazzi. Un missionario che ha fatto del servizio alla Chiesa e della diplomazia i suoi punti di forza. Ora è Gran Maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dopo essere stato per quasi un decennio Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.
Il cardinale Filoni racconta gli anni da nunzio apostolico in Iraq e le missioni compiute nel Paese dei due fiumi quando era prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Il porporato ha parlato alla vigilia del viaggio del Papa nella terra di Abramo. Una visita storia questa di Francesco per la quale tutta la Chiesa è in preghiera. Anche il vescovo mons. Giuseppe Giudice ha chiesto alla diocesi di stringersi al Santo Padre.
Dei primi anni di missione diplomatica per il mondo ricorda:«Nel mio peregrinare sono stato in tre luoghi in cui c’erano guerre: Sri Lanka, Iran e Iraq. Alla violenza non ci si può mai abituare. La guerra e le violenze tra popoli o gruppi sono l’assurdo. Mentre ero a Baghdad durante la guerra del 2003, non posso dimenticare le telefonate di vicinanza del papa Giovanni Paolo II e la preghiera di tanti per i cristiani dell’Iraq».
Da Nunzio, era lì quando piovevano le bombe. Ha vissuto con gli iracheni quella stagione. Pensando a quei giorni, cosa prova?
«Grande affetto e stima per la popolazione e specialmente per i nostri cristiani. La gente è sempre vittima di fatti che avvengono al di sopra della sua testa. I leader iracheni di allora e dei Paesi che fecero la guerra hanno gravi responsabilità davanti a Dio e alla società: quante migliaia di morti e distruzioni, esodi, sconvolgimenti. Giovanni Paolo II li ammonì. Si arricchirono i guerrafondai. Penso che fosse possibile trovare una via di pace, e c’erano le circostanze, anche se si diceva il contrario».
Quando lei era Prefetto, papa Francesco la inviò in Iraq durante l’avanzata del Daesh. Un’altra durissima prova.
«Quando si ha tra le mani l’ultimo anello di una catena, si capisce che si tratta dell’ultimo di una serie di eventi drammatici. Mi auguro che si apprenda la saggezza dalla storia, almeno quella più recente, e che la violenza, le mire politiche ed economiche e i fanatismi religiosi non abbiano a dettare il futuro delle popolazioni».
La terra di Abramo visitata da papa Francesco. Cosa significa, non solo simbolicamente, questo viaggio?
«Si tratta di una visita molto attesa. C’era una promessa che l’insicurezza e poi il Covid-19 hanno imposto di rimandare. La visita del Papa è diretta a gente che ha sofferto e che soffre. Dunque, non si devono attendere tempi felici per compierla. Il viaggio è anzitutto un momento di vicinanza, di solidarietà e di incoraggiamento a tutto il popolo iracheno, ma anche a tutta la regione, pensiamo alla situazione terribile in cui versa la Siria, ed in particolare ai cristiani».
Quali benefici porterà?
«Il Papa va come messaggero di pace. Non porta trattati, progetti, minacce, armi, commercio. Dice semplicemente: la pace è possibile, bisogna volerla e costruirla, ma tocca anche agli altri Paesi collaborare. Sul piano religioso assicurerà l’impegno della Chiesa e la sua collaborazione con il dialogo inter-religioso e l’impegno della Caritas. Il Medio Oriente è una terra dove la convivenza tra religioni è indispensabile. Il rispetto dei diritti di tutti indilazionabile. Non parliamo di tolleranza, parliamo di diritti uguali sia per le maggioranze, sia per le minoranze».
Nell’intervista che sarà pubblicata integralmente sul prossimo numero di Insieme, con il cardinale Filoni abbiamo trattato il tema del Sinodo per l’Italia, la formazione dei sacerdoti, la Terra Santa, il Mezzogiorno d’Italia e i suoi problemi.
Salvatore D’Angelo