Un filo rosso che unisce le donne. L’arte di Silvia Capiluppi

I LenzuoliSOSpesi di Silvia Capiluppi uniscono l’Italia con i nomi ricamati in rosso
Un filo rosso che unisce le donne. Un lenzuolo di Silvia Capiluppi

Un filo rosso che unisce le donne. L’arte contemporanea spesso corre lungo sentieri inaspettati. È capace di sorprenderci ed aprire percorsi nuovi attraverso nuove modalità di espressione. Spesso però, in particolare negli ultimi decenni, sembra diventata una sfida a stupire attraverso una sperimentazione sempre più estrema.

Eppure, guardandosi bene intorno, c’è chi nel suo lavoro artistico, pur non abbandonando la complessità della ricerca, riesce a ripartire dall’acqua, dalla pasta madre o dalla semplicità di un lenzuolo ricamato.

A fare questo è l’artista Silvia Capiluppi, architetto, naturopata e insegnante di yoga. Se si dà anche solo uno sguardo veloce al suo lavoro è chiaro quanto creda nello scambio sinergico tra diversi linguaggi e come riesca a portare questa visione nelle sue installazioni e nelle mostre che progetta e cura.

L’incontro al MADRE

Attraverso mia moglie Ida Testa, che ha partecipato con i colleghi del Liceo Artistico “Giorgio de Chirico” ad una sua performance, ho conosciuto il suo ultimo progetto, che nasce nel 2018 e prende il nome di “LenzuoliSOSpesi”. Si tratta di lenzuoli bianchi su cui viene ricamato con del Filo rosso il proprio nome e un segno grafico.

Il lenzuolo ricamato da Ida Testa

In pochissimo tempo l’esperienza è passata dal primo lenzuolo titolato Genogramma – Il Lenzuolo della Sorellanza, su cui la stessa Silvia ha ricamato 83 nomi di donne per raccontare come «siamo tutti uniti da un’unica antica radice e che liberando una donna siamo liberi tutti!», agli oltre 100 lenzuoli ricamati da migliaia di persone in Italia e nel mondo. Tra questi anche i due Lenzuoli realizzati presso il museo MADRE di Napoli, per il work shop “MeM – Me e Madre” – con il progetto didattico “io sono Felice”, dedicato all’integrazione sociale e promosso dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee.

L’occorrente

Per realizzare uno di questi lavori è sufficiente un lenzuolo bianco, preferibilmente matrimoniale, ago e filo rosso, dare un titolo ed iniziare a ricamare i nomi. Non è importante saper ricamare. È importante essere insieme: «Regalandoci il tempo ed entrando in contatto con chi ricama ora, ha ricamato prima e ricamerà dopo di noi». Il ricamo come pratica di condivisione e meditazione una sorta di preghiera collettiva che affonda le sue radici in attività antiche e comuni a diverse culture nel mondo. Lo stesso filo rosso si ritrova spesso e in diverse contesti per utilizzi pratici e rituali.

Un’operazione quella di Silvia Capiluppi che presuppone la creazione di “reti solidali” e che a me pare un’attività nata per donare più che per ricevere. Arte che aggiunge e non sottrae, ed offre alla collettività, in particolare alle donne, uno spazio di consapevolezza e benessere, recuperando un’attività antica e spesso snobbata come molte attività femminili, il ricamo, ricca di implicazioni inaspettate.

Il lockdown non spaventa

Silvia Capiluppi

Questo Filo rosso non si ferma neppure durante il Lookdown. In questi giorni in occasione della Festa della donna, le vie di Bormio ospitano l’esposizione “LenzuoliSOSpesi” e diversi sono stati i lenzuoli ricamati in questo periodo difficile. Oltre ai nomi sono comparse parole di speranza che hanno contribuito attraverso la pratica del ricamo a sciogliere un po’ della paura accumulata durante la pandemia.

L’immagine che mi rimanda questo lavoro collettivo è quella delle mani che toccano il lenzuolo bianco, il respiro dei partecipanti che si fa più lento e su quello spazio vuoto ci si ritrova.

«Un momento magico» lo definisce l’artista, un luogo dove cercare il proprio posto, in mezzo agli altri, per ricamare il proprio nome o quello di una madre, una sorella, un’amica. Un gesto che nella sua semplicità diventa una traccia potente che unisce in forza dell’amore.

Oltre il progetto artistico

Oltre che il suo progetto artistico Silvia sostiene anche altre iniziative lodevoli, promuovendole nella rete di persone che partecipano alla creazione dei Lenzuoli. In particolare mi piace ricordare le coperte dell’abbraccio per Milano, e le coperte della mamma per la Comunità di Sant’Egidio. Tante persone che da tutta l’Italia inviano dei pezzi di coperta, delle mattonelle 50×50 centimetri, interamente realizzati a mano che poi saranno assemblate e donate.

Il suo progetto artistico ci interroga anche su quale sia lo scopo dell’arte. Basta la bellezza delle linee, per dirla con Hogarth o come ci indicava anni fa Edoardo Sanguineti: «Se le opere dei grandi hanno un senso, è perché arrivano a testimoniare, (…) del dolore irrimediabile degli uomini. Non è un problema di estetica, infine, ma di etica. Come suggerisce anche Schönberg, per altra via, all’arte non tocca la ricerca della bellezza, ma della verità».

Silvia Capiluppi

Che sia la ricerca della verità o di un ritrovato benessere, anche se parziale, momentaneo ed effimero, alla base del gesto artistico, condivido con Silvia, l’idea che non si può trattare infine della mera produzione di grandi quantità di materiali di nessuna utilità.

Per quanto mi riguarda davanti ad un’opera d’arte, di qualsiasi epoca e tipologia, mi ritrovo a vivere una prima fase istintiva e rapida che mi lega o meno a ciò che vedo ma poco dopo ne segue una più complessa e duratura che mi piace definire quello che resta. Il complesso delle implicazioni emotive, spirituali e razionali che legano i singoli fruitori rendendoli parte di una comunità ampia ed eterogenea che cresce e si evolve anche grazie alla produzione artistica.

Salvatore Alfano

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