A Pagani il titolo di “Madonna “delle Galline” potrebbe aver nascosto per secoli la devozione alla Madonna del Megalini, cioè del Magnificat. La ricostruzione di padre Domenico Marafioti, gesuita, docente presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale.
di padre Domenico Marafioti, gesuita
Ci sono tanti titoli mariani, quelli dei santuari, quelli delle litanie e quelli delle tante devozioni diffuse nella Chiesa. Ma nessuno mi ha incuriosito tanto quanto quello della Madonna “delle Galline”, che si venera a Pagani nella diocesi di Nocera Inferiore – Sarno. Mi sono sempre chiesto: che c’entra la Madonna con le galline? Certamente anche lei, nella Santa Famiglia, ne avrà avuta qualcuna a Nazareth; ma questo è un motivo sufficiente per attribuirle un titolo speciale?
La storia
E mi hanno raccontato la storia. Un gruppo di galline razzolando in un pollaio ha scoperto una tavola con un volto della Madonna; successivamente la pittura si è consumata e la Madonna è stata ridipinta come se fosse la Madonna del Carmine. La devozione mariana si è sviluppata e a farla crescere ha contribuito anche sant’Alfonso, che la celebrava con attenzione, ma ha sempre mantenuto il titolo principale di Madonna delle Galline. Nel 1787 è stata incoronata con il patrocinio del Capitolo di San Pietro. Oltre la tela, è stata costruita una statua di legno più adatta per le processioni. La festa si svolge nella settimana dopo Pasqua, con grande partecipazione di popolo, una trionfale processione la Domenica in Albis o della Misericordia, e tante manifestazioni folcloristiche, che indicano quanto è radicato nel cuore della gente l’affetto per la Madonna.
Nulla da dire. Per la Madonna si può fare questo e altro; e tanti in tanti posti fanno cose altrettanto grandi, confermando la profezia che “tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1,48). Rimane la curiosità, perché tanta fede e tanto affetto autentico deve essere legato alle “galline”. Si può sempre dire: Ma no, non è legato alle galline; piuttosto alla Madonna trovata dalle galline! È vero, e tutto può essere. Ma, se invece delle “galline”, ci fosse qualcosa di più importante e molto più vicino alla persona e alla missione della Madonna nella chiesa?
Il rapporto tra il mondo greco e bizantino
Certamente si tratta di una devozione molto antica. La tradizione racconta i fatti dal 1609 in poi, ma il particolare che la primitiva tavola trovata dalle “galline” abbia perso la pittura e sia stato necessario ridipingerla, dice che bisogna risalire molto più indietro. Qualcuno accenna ai secoli VIII-IX e ai monaci fuggiti dall’Oriente al tempo dell’iconoclastia, quando l’imperatore Leone Isaurico perseguitava i monaci che conservavano la devozione alle icone. Allora tanti hanno lasciato l’Oriente e si sono rifugiati in Occidente portando le loro icone, molte delle quali naturalmente rappresentavano la Madonna. Alcuni di loro avrebbero potuto sistemarsi nell’agro nocerino-salernitano e diffondere la devozione alla Madonna. Questa dei rapporti tra occidente e oriente, tra il mondo latino e il mondo bizantino potrebbe essere una pista interessante di ricerca. Sappiamo infatti che, anche prima del tempo dell’iconoclastia, al tempo di Giustiniano (485-565), Belisario aveva riconquistato il Sud Italia e lo aveva reinserito nell’impero d’Oriente, e quindi anche nella lingua greca, nella liturgia e nella spiritualità bizantina.
Certo i bizantini sono rimasti padroni di Salerno per oltre un secolo, dal 538 al 646, quando sono stati sconfitti dai Longobardi. Con i nuovi dominatori sono ritornati gli usi latini e soprattutto si è persa la conoscenza del greco. È rimasta invece la stessa fede e la stessa devozione alla Madonna, comune a latini e bizantini. In questo momento di passaggio dalla spiritualità bizantina alla spiritualità latina potrebbe essersi verificato uno strano fenomeno linguistico di intreccio tra greco, latino e dialetto italico, che non è possibile descrivere esattamente, per mancanza di fonti scritte, ma che potrebbe nascondere dietro un titolo mariano, difficile da capire, uno splendido titolo mariano di carattere biblico e di alto profilo spirituale.
La formazione dei dialetti
Non sappiamo quando si sono formati i dialetti italici. Conosciamo il primo documento della lingua italiana nel testo di Monte Cassino: «Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte s(an)c(t)i Benedicti». Questo documento notarile risale all’anno 960, e il fatto che provenga dalla zona di Capua lo avvicina alla Campania. Non sappiamo come si parlava nella zona di Pagani, quanto latino, quanto italico e quante parole greche erano rimaste nella parlata popolare. Certo per anni e secoli, di padre in figlio, le persone si sono tramandate la devozione “a Madonna di galini”. Questa espressione è stata tramandata con rispetto, ma forse senza capire esattamente cosa si diceva, perché nessuno ricordava più le trasformazioni linguistiche che si erano verificate tra le parole originarie e le modificazioni intercorse nel tempo. A un certo punto si è sentito il bisogno di dare contenuto comprensibile all’espressione e si è costruito il racconto delle galline che trovano il quadro della Madonna, perché in italiano il suono e la parola più vicina a “galini” è proprio il termine “galline”, intendendo l’animale domestico da tutti conosciuto. L’accostamento Madonna e galline era certamente curioso, ma le persone non si sono formalizzate e hanno pensato meno alle galline e più alla Madonna, e così la devozione è andata avanti, perché Maria è sempre stata la Madre di Cristo e dei cristiani. In questa ricostruzione il racconto del ritrovamento del quadro da parte delle galline sarebbe un normale racconto eziologico, per spiegare il titolo, non altrimenti comprensibile. Ci sono tanti esempi di questi procedimenti storico culturali.
Se fosse la Madonna del “Megalini”?
Anch’io ho accolto la spiegazione che mi è stata data, qualche volta con rispetto e qualche altra con un sorriso di comprensione davanti a una tradizione difficile da accettare. Un giorno però mi sono detto: E se invece di essere la Madonna “di galini”, fosse la Madonna del “megalini”? Qualcuno dirà: E che cos’è questo? Esatto, proprio quello che hanno pensato gli antenati degli abitanti di Pagani, che non conoscevano più il greco. Siccome “megalini” non diceva niente, hanno lasciato cadere la prima sillaba “me” e hanno conservato le altre che, per quanto curiose, qualcosa significavano: “galini” si avvicina molto a gallini e galline. E così, con rispetto per la Madonna e senza ironia, hanno tramandato il titolo “Madonna delle galline”.
Però “Megalini” un senso ce l’ha: infatti “megalini” è la pronuncia secondo lo iotacismo del termine greco: “Μεγαλύνει”. Oggi noi in occidente leggiamo questa parola secondo la pronuncia etacista diffusa da Erasmo, e pronunciamo: “megaliunei”; ma gli antichi seguivano la pronuncia iotacista (o itacista) tutt’ora in uso nel mondo greco-bizantino, nell’abbazia greca di Grottaferrata, nell’eparchia di Lungro in Calabria e a Piana degli Albanesi in Sicilia, dove pronunciano “megalini”. Perché la “υ” si pronuncia “y=i”, e anche il dittongo “ει” si pronuncia “i”. Quando però si è persa la conoscenza del greco la parola è diventata incomprensibile: “megalini” non diceva niente a nessuno, e lo si è abbreviato in “galini”, deformandolo e rendendolo irriconoscibile rispetto al termine originario, ma comprensibile rispetto al dialetto italico che si andava diffondendo. Così la Madonna del (Me)galini è diventata la Madonna delle galline.
Ebbene, se così fosse, se davvero si fosse verificato questo fenomeno linguistico di trasformazione e conservazione, si può tornare indietro dall’italiano “galline” al dialetto “galini”, e risalendo da questo resto omofono, che ha lo stesso suono ma non lo stesso significato, al termine greco ricomposto nella sua integrità, dobbiamo ringraziare il titolo strano di “Madonna “delle Galline”, che ha nascosto per secoli e ha conservato per il popolo cristiano la splendida devozione alla Madonna del Megalini, cioè del Magnificat. Sì, “Μεγαλύνει” seguendo lo iotacismo si pronuncia “Megalini”, e Μεγαλύνει è la prima parola del Magnificat secondo il testo greco di Lc 1,46: “Μεγαλύνει ἡ ψυχή μου τὸν Κύριον”, (Magnifica l’anima mia il Signore). A Pagani quindi si venerava e si venera la Madonna con il titolo biblico, teologico e poetico del Megalini, proprio del Magnificat! Che splendido tesoro di pietà! Che splendido patrimonio di fede!
Il canto del Magnificat
Certo può essere simpatico pensare che alcune galline razzolando abbiano regalato ai cittadini di Pagani la devozione alla Madonna. Ma quanto più bello e importante sarebbe poter riconoscere che i nostri antenati ci abbiano tramandato la devozione alla Madonna del Magnificat, con il ricco contenuto teologico mariano dell’Inno, che canta la grandezza di Maria e il suo posto nel mistero di Cristo e nella storia e della salvezza. Tra l’altro mi dicono che c’è un elemento liturgico antico che potrebbe avvalorare questa ricostruzione. Al termine della processione, quando si rientra nella Basilica si canta proprio il Magnificat. Non potrebbe essere questo un prezioso resto del passato, fedelmente conservato dalla devozione popolare, per richiamare l’attenzione di tutti non alle “galline” ma al Magnificat? Per legittimare il percorso per cui è possibile risalire da “galini” a “megalini”, basterebbe fare una piccola ricerca sui grecismi rimasti nel dialetto di Pagani e dell’agro nocerino. In tante parti del Sud-Italia ce ne sono molti; se ci sono altri grecismi, ci può essere anche questo. Il fatto che sia stato deformato nel tempo, non vuol dire che non sia ancora riconoscibile.
Certo, per collegare la Madonna al Magnificat non c’è bisogno di fare tutta questa lunga e complessa ricostruzione storico-linguistica. Ogni vero devoto della Madonna sa valorizzare tutti i brani biblici che parlano di Maria. E, tuttavia, che un titolo mariano metta in evidenza la relazione di Maria col Magnificat è una cosa splendida. Che questo l’abbia fatto la devozione popolare, sia pure deformando le parole, è ancora più significativo, perché proprio il popolo di Dio è più sensibile all’affetto materno di Maria. Allora, usando il linguaggio popolare, bisogna ringraziare la Madonna delle Galline che ci ha conservato la memoria della Madonna del Megalini, del Magnificat. Non c’è spazio per sorrisi più o meno ironici, non c’è posto per l’aria di sufficienza degli intellettuali accondiscendenti verso il popolo ignorante, la Madonna del Megalini è una perla preziosa della pietà cristiana e della spiritualità mariana.