È possibile coltivare la speranza nel cuore di una pandemia che ha ridisegnato lo stile e il ritmo delle nostre vite?Come possiamo vivere la gioia della Resurrezione mentre intorno continuano a morire persone a causa del nemico invisibile? Ne abbiamo parlato con lo psichiatra e scrittore Sergio Astori, ideatore del progetto “Parole Buone”.
Quante vittime ha mietuto il coronavirus? Quanti posti di lavoro persi a causa del Covid-19? Quante fragilità sociali emerse? Ci sono conseguenze della pandemia quantificabili e altre incalcolabili che soltanto il tempo ci consegnerà. Tra le più preoccupanti c’è una possibile emergenza “psicologica”, innescata da un periodo di radicale cambiamento delle abitudini lavorative, familiari e sociali. Chi può dire se e quando la compressione della normale routine di vita – dovuta al distanziamento sociale e al confinamento in casa – possa esplodere in stati d’ansia, stress e paura?
Ne abbiamo parlato con Sergio Astori, psichiatra e psicoterapeuta, docente alla facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano e ideatore del progetto #ParoleBuone, un laboratorio di resilienza a cielo aperto che da un anno accompagna le persone attraverso la diffusione di valori e concetti positivi, salutato dalla stampa nazionale come “antidoto in attesa del vaccino”, “fiore nell’emergenza”, “grammatica per tornare a sperare”. Un autentico generatore di bene.
Quanto è difficile parlare di Resurrezione in questo contesto storico segnato dalla pandemia che continua a mietere vittime e mette in ginocchio l’economia?
Spesso proprio le situazioni di oppressione impongono la riscoperta dell’essenziale. Poter perdere la vita, le separazioni forzate, sono provocazioni a chiarire ciò che definisce davvero la vita e ciò che è superfluo. Il profondo bisogno di avere una vita realizzata si rende ancor più evidente quando viene messa a nudo la nostra costitutiva fragilità, quando cascano le maschere che ci ingannano d’essere dei piccoli padreterni.
Quali parole possiamo e dobbiamo imparare ad usare in un tempo di crisi?
Le parole della semplicità e della perseveranza rischiano d’essere offuscate nei giorni più cupi. Tuttavia, se si tiene viva la possibilità di giocare la partita, come succede per esempio al bimbo protagonista del film “La vita è bella”, anche le esperienze più tragiche possono essere vissute come un’occasione di vittoria.
La tua esperienza professionale e la tua formazione umana e spirituale ti hanno aiutato ad aiutare altre persone ad affrontare le difficoltà legate alla pandemia?
Il bene ricevuto è sempre maggiore di quello fatto. Per me le relazioni terapeutiche e i legami umani e spirituali più profondi sono stati di grandissimo sostegno. I pensieri buoni degli amici e dei pazienti, in un reciproco sentirci presenti al di là dell’impossibilità in molti casi di incontrarsi fisicamente, sono stati una prova concreta che i legami autentici accrescono la nostra umanità e generano benessere.
Come è nato il progetto di #ParoleBuone?
Il Progetto è nato pensando che, nel lungo tempo della pandemia, a fronte del diffondersi insieme al coronavirus della zizzania delle parole allarmanti (contagi, decreti, distanziamenti, assembramenti…) e delle fake news (“il virus non è pericoloso”, “si ammalano solo gli anziani”), avessimo tutti bisogno di seminare, coltivare e proteggere alcune spighe ricche di nutrienti germi di speranza.
Dopo un anno di #ParoleBuone, quali sono quelle che hanno generato più condivisione e perché?
Le più sorprendenti. Hanno entusiasmato i termini Lode, Meraviglia, Occasione più di tutte, e le parole inattese come Fragilità e Rischio, che da sola ha avuto più di ottomila visualizzazioni in un solo giorno. Una dimostrazione che, dopo traumi e lutti e in coincidenza con una fortissima contrazione occupazionale e reddituale, la fame di ripresa e di rinascita è enorme. Ciascuno di noi può fare la sua parte, anche condividendo parole, pensieri e azioni buone, per continuare ad alimentare la speranza.
#ParoleBuone, pillole di resilienza per superare la crisi, nasce da un’intuizione dello psichiatra e scrittore Sergio Astori. Un percorso di parole, immagini e video, per sperare nel tempo del coronavirus e preparare la ripresa. Un progetto comunicativo multimediale di supporto psicologico e morale attivo fin dai primi giorni del lockdown nazionale, esattamente dal 21 marzo 2020, che ha continuato ininterrottamente a diffondere in rete parole positive studiate anche in formati semplificati in grado di raggiungere molte persone a rischio di isolamento per via di uno svantaggio fisico, psichico o economico. Le #ParoleBuone dello scrittore Sergio Astori sono corredate anche di versioni accessibili: una versione “facile da leggere” (Easy to Read, ETR) per chi ha difficoltà di decodifica di testi complessi, di un podcast ascoltabile dagli ipovedenti, da video che traducono i brevi racconti delle #ParoleBuone nella Lingua italiana dei segni (LIS) con una sottotitolazione professionale, una versione inBook in simboli utilizzabile da minori, stranieri o dalle persone con disabilità intellettiva, grafiche e foto guida originali con un’alternanza di colori tipo arcobaleno per una migliore identificazione dei concetti.
Per fissare e diffondere anche attraverso la carta stampata le #ParoleBuone, l’editore San Paolo propone a Sergio Astori di trasformare il progetto in un libro. Vengono riprese e approfondite dall’autore le prime dodici parole condivise sul web. Il libro “Parole buone. Pillole di resilienza per superare la crisi” esce il 30 ottobre 2020 con la prefazione del giornalista Luca Rolandi.