È abitudine negli ultimi anni far propria l’espressione di patrimonio culturale. Vi è come un abuso linguistico, dato da un eccessivo utilizzo, a volte inappropriato di tale definizione.
Secondo l’enciclopedia Treccani il significato dei termini che compongono quest’espressione è il seguente: patrimonio – complesso dei beni, mobili o immobili, che una persona (fisica o giuridica) possiede; culturale – … che riguarda la cultura… il complesso dei beni di interesse storico, archeologico, artistico, ambientale e paesaggistico, archivistico e librario, e ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale di civiltà.
Quindi, con l’espressione patrimonio culturale si identifica tutto ciò che ha un interesse culturale posseduto dalla comunità. Ma il valore di questo patrimonio da chi è riconosciuto? Quali sono gli indicatori che permettono di riconoscere un bene di patrimonio universale?
Per motivi economici si cerca di far rientrare tutto e di più, anche cose superflue, in questo tipo di patrimonio. Si sentono spesso sostantivi quali valorizzazione, tutela, conservazione del patrimonio culturale, ma concretamente si associano queste operazioni solo a logiche economiche. Negli ultimi atti del Governo, anche a seguito della crisi dovuta al Covid-19, si parla molto di valorizzazione del patrimonio culturale tramite il turismo.
Ma cosa vuole dire valorizzazione? Usando il termine subito si collega al sostantivo valore e quindi all’aspetto monetario di esso. Si pensa al profitto che quel bene, materiale o immateriale, possa giovare.
Come un patrimonio culturale può avere un valore economico? Può il Colosseo, San Pietro, il Centro storico di Napoli avere un valore? Possiamo riassumere in breve che l’uomo ormai, in modo errato, dà un valore monetario a tutto anche a cose che non hanno valore.