«Per amore di Dio fate una elemosina alle povere orfanelle». Le regole per chiedere la questua delle Suore Serve di Maria Addolorata.
di suor Agnese Pignataro
A Portaromana, nonostante la comunità vivesse del proprio lavoro eseguendo, dietro ordinazioni, ricami, merletti, lavori a tombolo e filet, approntando corredi e arredi sacri, fu necessario ricorrere alla questua per l’aumento del numero delle orfane accolte.
Questa attività ebbe soltanto carattere integrativo, cioè sopperire alla insufficienza degli introiti ottenuti con la vendita dei lavori eseguiti dalle suore e dalle orfane e reperire i fondi necessari per la ristrutturazione del nuovo edificio.
Dal Regolamento risulta che la questua non consisteva nello stendere la mano, ma aveva lo scopo di vendere i lavori eseguiti e procurarne di nuovi.
L’iter seguito da Maria Consiglia per ottenere il permesso della questua è documentato da una domanda fatta al vescovo Raffaele Ammirante alla fine di gennaio 1882, dalla raccomandazione di questi datata 2 febbraio dello stesso anno e, da ultimo, dalla petizione rivolta al ministro dell’Interno datata 28 febbraio 1882.
Una succursale a Napoli
Il 30 maggio 1882 Maria Consiglia aprì provvisoriamente una casa succursale a Napoli, (Ospizio), prima alla calata Betlemme e poi, nel 1886, al quinto piano di uno stabile al civico 224 di corso Vittorio Emanuele.
In questi anni il numero delle suore nella casa di Portaromana era aumentato, come pure il numero delle bambine orfane. Gli anni in cui opera Maria Consiglia sono molto difficili e anche altre istituzioni, nate contemporaneamente alla sua, si dedicano alla questua per far fronte ai bisogni impellenti di tanti bambini abbandonati.
Erano deputate all’ufficio della questua quelle suore che maggiormente si distinguevano per virtù ed esemplarità e quando chiedevano dovevano dire solamente: «Per amore di Dio fate una elemosina alle povere orfanelle».
Se questa veniva negata dovevano immediatamente passare oltre. Nel Diario della Madre si legge: «La dimanda doveano farla alla porta, con divieto assoluto di entrare dentro, di fermarsi a discorrere con chicchessia, di avvicinarsi a bettole o ad altri siti indecenti. Modestia nell’andamento, occhi bassi, nulla rispondere a qualche che siasi oltraggio, villania, insulto».
Come dedicarsi alla questua
Ma c’era anche chi si camuffava e si dava ad un improbo accattonaggio, tanto da creare sospetti nella questura che vigilava severamente.
Anche la Santa Sede intervenne tramite la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari con un decreto del 27 marzo 1896 ove prescriveva le “Norme da osservare circa le suore questuanti”. In esso è detto che le suore questuanti sono degne di protezione e di aiuto, perché danno una egregia testimonianza di umiltà, di pazienza e di carità.
Le Norme erano dirette ad evitare pericoli ed inconvenienti.
La questua doveva essere fatta in spirito di fede, perché si stendeva la mano non per sé ma per Gesù Cristo il quale ha detto: «Ciò che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».
Le suore questuanti dovevano essere autorizzate per iscritto dal Vescovo della diocesi di residenza e della diocesi dove esse si recavano; dovevano essere raccomandate al Vescovo, ai parroci e alle persone dabbene perché le aiutassero, le vigilassero e riferissero in caso di inconvenienti.