“L’affermazione che come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle, se non è solo un’astrazione ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte” (FT 128).
Una voce risuona più di ogni altra voce, è la Parola che ci ama da sempre, a noi è chiesto di andargli incontro, in silenzio, per imparare che chi vuole essere forte si deve nutrire della debolezza, chi si fa servo deve esserlo inutile e sofferente, che colui che ci ha creato è stato anche generato, che colui che è caduto per tre volte, sotto il peso della croce, ha innalzato su di essa tutti a sé (Gv 12, 32) ed è morto per donare la vita anche a colui che lo ha ucciso e continua a farlo quando l’uomo di ogni tempo non riconosce il suo Volto nel fratello: «allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Gn 4,9).
Come Caino, anche noi quando lo imitiamo, sentiamo il fratello come un’insidia, una minaccia, un ostacolo, vogliamo essere i primi e gli unici, interessati solo ad apparire, incapaci di crescere nella relazione, non aperti al dialogo, a un confronto, non abbiamo coscienza chi ci sta davanti, ci alimentiamo soltanto dell’odio e del rancore.
“Dov’è Abele, tuo fratello?”, Caino risponde “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4,9b), l’intenzione di Caino – e di ognuno di noi che agiamo allo stesso modo – si riscopre nella parola “custode”, la cui etimologia deriva da una radice (‘kuh’) che ha come significato quello di coprire, difendere, esserne responsabili, accogliere il fratello nella sua diversità e avere a cuore che possa realizzarsi senza dover rinunciare a se stesso, senza voler eliminare l’altro, “D’altra parte, quando si accoglie di cuore la persona diversa, le si permette di continuare ad essere se stessa, mentre le si dà la possibilità di un nuovo sviluppo (FT 134).
Se la colpa di Caino produce chiusura, timore di rivelarsi per quello che l’intenzione ha determinato, la responsabilità si astiene dal giudizio, favorisce, si apre a un bene vero e sincero, un modo di essere, capace di esprimere le esigenze più profonde.
Se Kafka lega al grande tema della responsabilità una speranza indistruttibile, in quanto oltre ad averla ricevuta in dono, siamo chiamati anche a donarla, soprattutto a chi l’ha perduta, per Erich Fromm la “Responsabilità, nel vero senso della parola, è un atto strettamente volontario; è la mia risposta al bisogno, espresso o inespresso, di un altro essere umano. Essere “responsabile” significa essere pronti e capaci di “rispondere”. Giona non si sentiva responsabile degli abitanti di Ninive. Egli, come Caino, poteva domandare: «Sono il custode di mio fratello?» La persona che ama risponde. La vita di suo fratello non è solo affare di suo fratello, ma suo. Si sente responsabile dei suoi simili, così come si sente responsabile di se stesso”. (Erich Fromm, L’arte di Amare).
di Padre Giovanni Caruso