Omaggio al cantore di Nofi. Lucia Rea, figlia del grande scrittore Domenico, ricorda il papà a cento anni dalla sua nascita. L’importanza delle sue opere, il rapporto con Nocera Inferiore e l’Agro, i giovani e la letteratura, ma anche come avrebbe vissuto l’epoca social e pandemica
L’8 settembre scorso Domenico Rea avrebbe compiuto 100 anni. Lo scrittore cantore di Nofi, dell’Agro nocerino sarnese, della sua storia, delle sue tradizioni, della sua operosità, forse ne avrebbe approfittato per dedicare qualche nuovo verso alla sua terra.
Non potrà farlo. La sua memoria continua però a vivere nel ricordo e nella testimonianza della figlia Lucia e, in questo particolare anno cominciato l’8 settembre, con le celebrazioni per il centenario della sua nascita.
Il primo atto voluto dal Comune di Nocera Inferiore, città che lo ha accompagnato da giovane e ora lo accoglie nel suo cimitero, è stato la posa di una targa ricordo in via Lanzara, dove Rea visse con la sua famiglia.
Lucia, è un’occasione per rendere lustro e omaggio a suo padre, forse non sempre ricordato a dovere?
«Un po’ sì. Questa terra era nel suo cuore. Ma con gli scrittori capita così. Non solo Nocera, l’Agro, se ne è accorta tardi. Ci vuole tempo e poi vengono riscoperti».
L’occasione affinché i più giovani possano riscoprire la sua scrittura, le sue opere?
«Lo spero molto perché mio padre amava molto i ragazzi. Ha scritto dei libri per loro: “Il regno perduto”, “Il ragazzo dei bottoni”. Per mio padre il valore della lettura era una cosa importantissima, anche lui dedicava molte ore al giorno alla lettura. Ma ci sono un sacco di giovani aperti alla lettura, non solo ai social»
A proposito, cosa avrebbe pensato di Facebook e degli altri social network?
«Mio padre non si sarebbe ritrovato. Se fosse stato uno scrittore più giovane li avrebbe pure utilizzati. Mio padre viene da altro mondo, altra epoca. Scrivere e ricevere una lettera era per lui importantissimo. Si figuri che non amava nemmeno i supermercati: diceva che si perdeva il rapporto umano con le persone. Lui viveva di questi rapporti. Per lui era essenziale. Tanto è vero che a casa nostra poteva venire lo scrittore importante, così come il benzinaio. Era una persona molto empatica».
Dai suoi ritratti fotografici traspare un animo molto buono.
«Di animo molto buono anche se un po’ umorale. Era ipersensibile. Una notizia letta sul giornale avrebbe potuto turbarlo per giorni. Come padre era abbastanza severo, anche se poi sapeva regalarti un’allegria così particolare. Era pieno di vita».
Ha detto che alcune notizie finivano per turbarlo. Le scene dall’Afghanistan sarebbero state durissime per lui?
«Moltissimo. Ma anche da tante altre scene. Sarebbe stato turbato anche da tutta questa volgarità ed arroganza, violenza che emerge dai social. Mettere in piazza tutto, anche la parmigiana, lo avrebbe infastidito moltissimo».
Se la sarebbe presa anche con la televisione?
«Per esempio, mio padre si sarebbe infuriato davanti a programmi come l’Isola dei famosi e ai loro rilanci sul web».
Come avrebbe vissuto questo tempo pandemico?
«Sicuramente a leggere e scrivere. Avrebbe continuato a scrivere di mattina e a leggere di pomeriggio, ma non so se l’avrebbe vissuta benissimo. Ne sarebbe stato sicuramente consapevole. Lui da ragazzo, aveva 21 anni, ha avuto il vaiolo, quindi, sapeva cosa fosse una malattia pandemica. Essendo stato giovanissimo durante la guerra sapeva cosa volesse dire sacrificarsi. Sicuramente si sarebbe spaventato, ma sicuramente avrebbe letto molto e avrebbe molto apprezzato il mondo del volontariato».
Cosa si aspetta dalle celebrazioni per il centenario?
«Mi aspetto che si facciano delle ricerche su mio padre, che mio padre venga studiato. Sono contenta del protocollo tra il Comune di Sarno e l’Università di Salerno. Mi fa piacere che si attui questo progetto di digitalizzazione, in particolare sulla sua opera giornalistica».
Gli anni della gioventù di Domenico Rea sono anche legati al convento di Santa Maria degli Angeli di Nocera Superiore, in particolare il rapporto con un frate dell’epoca.
«Padre Angelo Iovino è stato uno dei suoi mentori. In quel convento ha scoperto tutti i poeti del ‘300. La biblioteca di quel convento è stato un posto a cui lui attingeva moltissimo».
Cosa resta della poesia?
«Resta molto poco. Sono un po’ pessimista.
Un tweet su papà Domenico.
«Papà mi ha dato tanto. Non vado spesso al cimitero. Ma lo penso cento volte al giorno. Delle volte era burbero, poi caso mai ti coinvolgeva in una cosa molto affettuosa. Quando mi sono sposata si è molto commosso, sono rimasta senza parole».
Queste celebrazioni le consentiranno di ritrovarlo ancora?
«La beffa di perdere i genitori è tutta qui: quando loro vivono li giudichi, ti arrabbi, ti difendi. Poi con la lunga distanza cambiano tante cose. Questo centenario mi sta stancando mentalmente, ma è molto importante anche per il mio rapporto con lui. Me lo fa ritrovare».