Forse gli italiani si sono davvero stancati di una politica fatta solo di slogan populisti e di propaganda ideologica.
Forse si sono convinti, di fronte all’esperienza epocale della pandemia, che “bisogna fare quel che si deve fare”, per ripetere ancora una volta le parole del premier Draghi. Forse hanno ripreso a dare il giusto valore alla competenza e alla qualità della classe dirigente, dopo l’ubriacatura neo-qualunquista.
Argomentare tutto questo a partire dalla recente tornata elettorale può apparire un’operazione azzardata. Si tratta pur sempre di un voto legato per definizione alla specificità dei territori e suscettibile quindi di letture diversificate.
Inoltre bisognerà attendere l’esito di alcuni ballottaggi-chiave per poter esprimere una più precisa valutazione politica di ordine generale, dopo che il primo turno ha registrato un’indiscutibile affermazione del centro-sinistra.
Tuttavia ci sono almeno tre segnali rilevanti che inducono a riflettere nella direzione indicata.
Il primo è l’aumento dell’astensionismo che ha toccato livelli record, particolarmente nelle grandi città. Il voto amministrativo risulta tradizionalmente meno coinvolgente di quello nazionale, ma il calo di partecipazione, in alcuni casi un vero e proprio crollo, è emerso nettamente anche nel confronto con la precedente tornata amministrativa, quella del 2016.
Il secondo è che, al di là di un giudizio sulle singole situazioni, complessivamente il voto è sembrato dar credito alle candidature che sono apparse più solide e meno improvvisate, frutto dei necessari accordi politici ma non sbocco di contorte alchimie di schieramento.
Il terzo è che gli elettori non hanno premiato i partiti che in questi mesi hanno ceduto più frequentemente alle tentazioni estremiste, con oscillazioni e ambiguità anche su temi decisivi.
Questi tre elementi trovano riscontro nelle analoghe dinamiche innescate dal cosiddetto “metodo Draghi”.
Serietà, concretezza, capacità di mediazione e allo stesso tempo di decisione, sono virtù che gli italiani hanno mostrato sempre più di apprezzare anche a costo di “scaricare” i partiti che pure consentono all’esecutivo di operare attraverso la maggioranza parlamentare.
Il presidente del Consiglio, è doveroso riconoscerlo, non ha fatto nulla per alimentare questa divaricazione. Sono gli stessi partiti che non hanno colto fino in fondo la straordinaria occasione per rigenerarsi e riposizionarsi che veniva offerta dalla nascita di un governo senza formula politica.
Fin qui l’appuntamento elettorale poteva essere considerato un’attenuante – peraltro molto discutibile – nello spiegare certi atteggiamenti, ma al netto dei ballottaggi anche questo alibi è venuto meno e si dovranno fare i conti con un elettorato che ha mostrato evidenti sintomi di insofferenza.
Sarebbe da irresponsabili non trarne le conseguenze e rovesciare sul governo il peso di questa incapacità. Il Paese ha bisogno di ben altro.
di Stefano De Martis