Padre Agnello Stoia si racconta in una intervista nelle ore del suo inizio di ministero come parroco di San Pietro in Vaticano. Ieri pomeriggio la Santa Messa presieduta dal cardinale Mauro Gambetti nella Basilica vaticana. Il frate minore conventuale nato a Pagani e cresciuto a Nocera Inferiore, ha ricevuto il mandato di parroco della Basilica cuore della cristianità lo scorso giugno.
Il religioso ha maturato la sua vocazione all’ombra del convento di Sant’Antonio a Nocera Inferiore. Gli ultimi otto anni li ha vissuti come parroco ai Santi XII Apostoli, nel centro storico di Roma. Tra le sue esperienze più forti e più lunghe, quella al convento di San Francesco a Folloni, dove è stato 19 anni.
Ad Antonella Palermo di Vatican News ha raccontato le emozioni del momento e della sua esprienza pastorale, ma anche il suo senso di gratitudine a papa Francesco e al cardinale Gambetti. «Il primo sentimento è quello della gratitudine. Gratitudine al Santo Padre, nei confronti del mio confratello Fra’ Mauro. Sono senz’altro molto emozionato. In qualche modo mi sento alle spalle tanti volti, mi sento parte di un popolo di preti, mi sento di rappresentarli, ecco».
L’esperienza ai Santi Apostoli
Con quale bagaglio di vita spirituale e di incontri preziosi, maturati in particolare nella precedente esperienza ai Santi Apostoli di Roma, si prepara a vivere questa nuova missione?
«Innanzitutto la devozione agli apostoli, a Filippo e a Giacomo, adesso a Pietro, a Simone e Giuda. Il dono della preghiera agli apostoli per tante situazioni che si sono sciolte. Mi porto l’insegnamento soprattutto dell’apostolo Giacomo nei confronti dell’accoglienza dei poveri, come dell’accoglienza dei ricchi. La gioia che ho avuto in quella parrocchia di veder seduti negli stessi banchi i ‘principi’ – perché la parrocchia dei Santi Apostoli è circondata da case principesche – e i poveri. Guardarsi con molto rispetto, con molto garbo: questa è una cosa bella di cui ringrazio Dio. Allo stesso tempo mi porto dentro tutta la dimensione del rapporto con le Chiese d’Oriente, il viaggio fatto a Smirne, per esempio, l’esperienza con la mia comunità francescana… E, ancora, quella con le persone che trovarono per nove mesi riparo sotto i portici della chiesa (decine di persone, adulti e bambini, sfollate nel 2017 in seguito allo sgombero di un edificio occupato nel quartiere romano di Cinecittà, ndr). Soprattutto, poi, ripenso all’esperienza bellissima della Chiesa di Roma, considerato che per sette anni sono stato nel Consiglio presbiterale».
Padre Agnello Stoia ha raccontato del dover essere parroco di San Pietro, una figura che esiste dagli inizi del ‘500, da quando è cominciata la nuova Fabbrica di San Pietro. «Il parroco era ordinato per quanti desideravano, in questo ‘santuario delle nazioni’, ricevere soprattutto il Battesimo. Fino a trenta anni fa, in buona sostanza, ogni famiglia romana aveva almeno un figlio battezzato a San Pietro».
Il rapporto con il cardinale Gambetti
Sarà chiamato a collaborare soprattutto con l’arciprete della Basilica vaticana, il cardinale Mauro Gambetti, anch’egli proveniente dalla famiglia dei frati minori conventuali. Padre Stoia sarà il suo diretto collaboratore. «Ne sono contento, in questo momento di riforma voluta da Francesco in tutta la Chiesa e nella Curia romana. La riforma ha bisogno di menti, nel mio caso di braccia, di supporto. Quindi sarò vicino a lui in questa opera. Così come mi sento vicino a tutte quelle realtà che operano all’interno della basilica, soprattutto per la accoglienza dei pellegrini, dei fedeli: i sanpietrini, i vigilanti, l’associazione di SS. Pietro e Paolo». C’è veramente un mondo all’interno di San Pietro, preposto sia alla manutenzione della basilica, che all’accoglienza delle persone in modo che si sentano al sicuro, guidate, abbiano dei punti di riferimento.
La sinodalità
Padre Agnello ha curato un volume che incarna l’esortazione del Papa ad essere Chiesa in uscita. Dimensione che saprà vivere alla guida di San Pietro. «Nel centro storico di Roma uscire significa accogliere. Io sulla mia pelle ho vissuto tutto questo. Mi sono sentito Chiesa in uscita insieme alla comunità che ho accolto, nella misura in cui ho saputo accogliere. Perché ci sono molte realtà periferiche che vengono al centro e nel momento in cui si apre la porta e si presentano gli scrigni di spiritualità, di bellezza, di arte, di storia e li si accoglie veramente, allora si vive una esperienza davvero incredibile. Quindi, mi piacerebbe vivere il fatto di essere parroco a San Pietro in uscita, vale a dire accogliendo le persone. L’altra nota è quella della sinodalità, un percorso che abbiamo affrontato nel Consiglio presbiterale per un po’ di anni. Lo Spirito ha soffiato forte, ci siamo trovati in mare aperto. E comprendiamo peraltro che uno è lo Spirito perché noi lo abbiamo cominciato tempo fa questo cammino e adesso papa Francesco con così forza lo compie».
A proposito della sinodalità, padre Stoia ha aggiunto che il Pontefice l’aveva indicata come «la sfida della Chiesa del terzo millennio». «Sinodalità significa trovare le parole, le forme, gli organismi, re-invetarsi, avere creatività per fare in modo che si cammini insieme», ha proseguito il frate minore conventuale dell’Agro nocerino sarnese.
Il Sud e Montella
Antonella Palermo ha chiesto quale valore aggiunto può dare al ministero di parroco in San Pietro la spiritualità francescana. Padre Agnello ha risposto: «Ancora una volta mi riferisco a Papa Francesco, perché ha fatto dell’insegnamento di Francesco d’Assisi la linea guida del suo ministero petrino, quando ha parlato dell’evangelizzazione nei termini di uscire, di andare incontro alle persone, di superare l’ideologia dello scarto».
Il sacerdote ha fatto anche riferimento alle sue origini, che gli danno una spiccata positività e un sorriso contagioso: «In merito al sorriso, molto fa anche la genetica e la cultura di un popolo, l’essere del Sud e l’essere francescano». Poi il passaggio sull’esperienza ventennale di Montella. «Prima di venire qui sono stato vent’anni in Irpinia in un convento abbandonato e sperduto, a Montella. Non c’era nessuno ma poi è bastato accogliere un gruppo di giovani che si sono passati la voce ed è diventato un popolo. Stavamo insieme, pregavamo insieme, lavoravamo insieme, abbiamo mangiato quintali di polvere per pulire, riordinare. Ma loro si sono prestati. L’aspetto della familiarità per me è molto molto importante e ha segnato molto la mia vita. Non è una ricetta ma vedo che il Papa insiste su questo punto e sono convinto che questa sia la strada».