Siamo in autunno, meravigliosa “stagione di passaggio” che non finisce di stupirci con i suoi meravigliosi colori esclusivi, certamente una delle più incredibili manifestazioni della bellezza della natura.
Uno spettacolo che allieta gli occhi dell’osservatore soprattutto in alcuni luoghi del pianeta.
Non a caso, per esempio, le tinte rosse, arancioni e gialle degli alberi della zona del New England, negli Stati Uniti, ogni anno in questa stagione, attraggono migliaia di visitatori, affascinati dal “foliage”, ovvero il processo del cambio di colorazione delle foglie, “abbandonate a se stesse” dagli alberi che si preparano all’inverno.
Ebbene, anche questo delicato processo, purtroppo, risente in maniera significativa dei cambiamenti climatici non naturali e degli interventi dell’uomo sul territorio, tant’è che, come illustra un recente articolo (pubblicato su “The Conversation”) di Marc Abrams, esperto in scienze forestali, col trascorrere degli anni, il passaggio dal verde estivo al giallo/rosso autunnale sembra avvenire con sempre maggiore ritardo.
Per quale ragione? Anche in questo caso, alla radice c’è il cambiamento climatico indotto dalle attività umane, con relativo aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri gas serra.
In concreto, in una determinata regione, il sensibile aumento di CO2, della piovosità e del caldo, le piante tendono a crescere molto di più, principalmente a causa del carbonio rilasciato in atmosfera, che alimenta la fotosintesi clorofilliana (il processo biochimico che permette alle piante di nutrirsi e crescere).
“Tuttavia – spiega Abrams – esistono dei limiti naturali entro i quali le piante possono compiere la fotosintesi”. Mano a mano che aumentano le concentrazioni di CO2 in atmosfera, infatti, diminuisce la capacità delle piante di utilizzarla, un fenomeno questo conosciuto come “saturazione da CO2”.
Tutto ciò influisce sul foliage, che normalmente si verifica al termine della stagione di crescita delle piante.
Il processo che porta al cambio di colorazione delle foglie consiste essenzialmente nella cessazione della loro produzione di clorofilla, che tinge le foglie di verde; di conseguenza, le piante si colorano di arancione, giallo e rosso, grazie alla presenza di pigmenti naturali (carotenoidi, xantofille e antocianine). Ma se il loro periodo di crescita si allunga, ne deriva una posticipazione anche di quello del foliage, che – attualmente – nella zona nord-orientale degli Stati Uniti inizia con 10-14 giorni di ritardo rispetto al consueto.
Ma non è tutto. L’aumento della piovosità e del caldo, insieme ad altri fattori, favorisce anche la migrazione di alcune specie arboree verso nord e verso ovest; ne è esempio l’acero zuccherino (Acer saccharum), che si sta spostando sempre più verso il Canada settentrionale.
“Per fermare i cambiamenti climatici – raccomanda Abrams – è necessario aumentare la biodiversità delle foreste, utilizzando alberi che si adattino bene, vivano a lungo, producano semi e migrino nel tempo”, sottolineando così l’importanza e l’urgenza di “riprogettare” le foreste della zona orientale statunitense, affinché si adattino ad un nuovo clima.
Maurizio Calipari