Il tenente colonnello Rosario Di Gangi guida da poco più di due anni il Reparto territoriale dei Carabinieri di Nocera Inferiore. Quando a settembre del 2019 è arrivato al comando di via Siciliano, che coordina il lavoro di centinaia di militari suddivisi su tre tenenze, sei stazioni, il nucleo operativo radiomobile, la polizia giudiziaria e il nucleo cinofili di Sarno, tutto immaginava fuorché doversela vedere anche con la pandemia.
Non era sicuramente l’unico. Il mondo intero ha dovuto fare i conti con il Covid-19. È stato un periodo impegnativo, che gli ha tuttavia consentito di guardare con occhi diversi il suo lavoro.
«L’emergenza pandemica ci ha impegnato molto per gli aspetti della sicurezza, un concetto che però si è dilatato perché ci siamo ritrovati a fronteggiare problematiche della collettività che non attenevano esclusivamente alla prevenzione e repressione dei reati, bensì a intercettare bisogni contingenti della quotidianità».
C’è un episodio che più l’ha colpita?
«Non un singolo episodio, ma una dinamica durata nel tempo. Quando è iniziato il lockdown siamo diventati un punto di riferimento per la comunità. Lo si viveva quotidianamente nella nostra centrale operativa, dove gli operatori del 112 ricevevano costantemente chiamate da parte dei cittadini che oltre a chiedere informazioni manifestavano un bisogno di rassicurazione rispetto alla situazione di disorientamento che stavano vivendo. È stata una presa di coscienza della complessità anche sociale della nostra funzione».
Questi due anni come sono stati?
«Molto intensi, ma anche molto interessanti e formativi. Il reparto di Nocera Inferiore ha una competenza piuttosto vasta e un bacino demografico piuttosto notevole. Un’area vivace dal punto di vista economico, dinamica dal punto di vista sociale, interessante e impegnativa dal punto di vista criminale perché coesistono fenomeni delittuosi di natura molto variegata e quindi siamo molto impegnati sia sul fronte della prevenzione che della repressione dei reati».
Che territorio ha trovato?
«Un territorio piuttosto difficile da decifrare dal punto di vista delle esigenze di sicurezza perché c’è una sorta di stratificazione tra fenomeni di microcriminalità e criminalità organizzata».
Bisogna distinguere tra le due cose?
«Sì, perché si rischia di attirare le risorse delle forze di polizia e delle attività di contrasto nella gestione delle emergenze, distraendo da una lettura dei fenomeni più strutturati che vanno combattuti in una prospettiva di lungo termine. È un tranello in cui non siamo caduti. Tutto il Reparto, così come il Comando provinciale che elabora le strategie operative, è ben consapevole di dover affrontare le azioni delittuose nel più ampio spettro in cui si manifestano, soprattutto con un’attenta attività di analisi. Tuttavia non bisogna neanche cadere nella trappola opposta. Laddove ci sono fenomeni macroscopici della criminalità non bisogna mai trascurare il fatto che la qualità della vita dei cittadini è fatta anche di tante piccole insidie, che vanno contrastate tanto quanto le attività delittuose macroscopiche. Anche un piccolo sopruso, una piccola ingiustizia subita nei rapporti di vicinato, una piccola truffa che va incidere su una famiglia, è una cosa che può opprimere le persone, generare insicurezza e sfiducia nelle autorità. È qualcosa che lo Stato e noi organismo di polizia non ci possiamo permettere di tollerare».
Dalle relazioni annuali dell’antimafia emerge una geografia criminale ben definita. Come è possibile che nonostante arresti, condanne e sequestri i cognomi restino quasi sempre gli stessi?
«Il fatto che un determinato clan assuma una denominazione che il più delle volte è mutuata dalle famiglie che costituiscono il fulcro delle organizzazioni non significa che quelle persone continuino nel tempo ad essere libere di delinquere e governare le sorti del territorio. Tant’è che, se verifichiamo uno per uno gli esponenti di vertice di questi clan, possiamo riscontrare che molti sono da tempo ristretti in carcere. Queste relazioni si basano su dati giudiziali assodati e consolidati, hanno una chiave di lettura retrospettiva. Il presente è monitorato da indagini in corso riservate e i risultati saranno visibili nel futuro».
Ho la sensazione che la criminalità sia più silente, quasi strisciante. Questa mimetizzazione rischia di far abbassare il livello di guardia dei cittadini?
«Per le organizzazioni mafiose estrinsecare violenza sul territorio è comunque una forma di attrazione delle attività di contrasto ed una esposizione all’azione repressiva dello Stato. Quindi, quando può evita di compiere atti eclatanti. Al tempo stesso ha costante bisogno di rinnovare la propria carica intimidatoria e far sentire la propria presenza con fatti che possano inquietare la collettività e soggiogare le coscienze civili. Da queste parti, tuttavia, la criminalità camorristica non è del tutto silente. Però non siamo in una situazione emergenziale».
La società civile sente come prioritario il tema della legalità o deve essere sollecitata?
«Così come in tutti i territori in cui c’è una storica presenza della criminalità organizzata, le forze collaborative non sono particolarmente diffuse. È anche vero che non siamo di fronte ad un tessuto sociale omertoso. La coscienza collaborativa della cittadinanza va sollecitata, noi lo facciamo costantemente. Sono convinto che bisogna uscire del tutto dal luogo comune secondo cui la società meridionale sia omertosa, connivente con le organizzazioni criminali. Lo sforzo che facciamo noi è creare i presupposti affinché all’occorrenza si crei un rapporto collaborativo con potenziali testimoni o vittime di reato pronte a denunciare».
La criminalità locale riesce a far presa sulle nuove generazioni?
«Attrae sempre e molto i giovani perché ha bisogno di manovalanza, soprattutto in un territorio pervaso dallo spaccio e dal consumo di stupefacenti. Ovviamente vi è tutta una fascia di giovani particolarmente esposta a questo tipo di seduzioni perché si tratta di guadagni facili in un contesto di molta devianza giovanile e dispersione scolastica. La situazione è piuttosto problematica».
Quali sono le droghe maggiormente utilizzate?
«C’è una circolazione di tutti i tipi di sostanze. Sottolineerei che c’è una notevole diffusione di crack che, al pari delle altre sostanze, crea ripercussioni irreversibili dal punto di vista psichico, fisico e quindi ha dei costi sociali enormi».
A prestare il fianco è anche la cosiddetta movida, spesso centro di fenomeni di violenza con protagonisti poco più che ragazzini. Come educare questi ambienti?
«Mi permetto di sottolineare che questa è effettivamente una piaga sociale per questo territorio. Ma non può ridursi il tutto ad una esigenza di sicurezza, a una esigenza di prevenzione e repressione dei reati. È un dato di fatto che i giovani abbiano come prevalente forma di divertimento, in diversi comuni della zona, quella di ritrovarsi presso i locali, consumare alcool, consumare stupefacenti.
Ma rifletterei anche sul fatto che non ci sono alternative che possono attrarre l’attenzione dei giovani e diversificare le forme di divertimento sociale. Questo è un problema che va affrontato su più livelli. Il consumo diffuso di stupefacenti è alla radice di molti mali che affliggono la nostra società. Oltre alla violenza nella movida, sottolineerei anche enormi riflessi negativi sulle situazioni di degrado familiare. Abbiamo numerosi casi di violenza domestica che hanno alla base fenomeni di dipendenza».
Siamo a dicembre e ci avviciniamo alla fine dell’anno. Si sente di dire qualcosa in merito all’utilizzo dei botti illegali?
«Non posso che unirmi all’appello che ogni anno le autorità rivolgono ad una maggiore responsabilizzazione del fenomeno. Sono testimone del fatto che purtroppo puntualmente ogni anno si verificano degli incidenti che spesso creano delle mutilazioni agli arti e al volto. Mi chiedo se davvero ne valga la pena».
Un augurio a questo territorio per il nuovo anno.
«Speriamo che il 2022 porti a tutta la comunità dell’Agro un rasserenamento e un ritorno alla normalità nel pieno rispetto delle leggi».
Da Reparto a Comando di gruppo
Il Reparto territoriale di Nocera Inferiore è tra i cinque presenti in Italia. La scorsa estate fu ventilata l’ipotesi della creazione di un Comando di gruppo, nel Paese ne sono attivi 13. Per il momento non ci sono novità. Il comandante Rosario Di Gangi tiene però a sottolineare che «a prescindere dall’eventuale elevazione ordinativa, l’adeguatezza degli organici all’esigenze del territorio è monitorata costantemente. Ogni qualvolta abbiamo avuto problematiche di sicurezza abbiamo anche avuto una tempestiva risposta in termini di adeguamento dei reparti che ci hanno consentito di fronteggiare la situazione contingente».
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