La motivazione è un fattore determinante per la realizzazione del successo formativo degli studenti, a volte però viene persa di vista nei processi di apprendimento.
Gli insegnanti sono schiacciati dal peso di enormi responsabilità che vanno ben al di là del compito di istruire i propri allievi, basti pensare alla prevenzione e cura dei molteplici disagi e disturbi che si manifestano nel corso dello sviluppo evolutivo dei discenti, o alle numerose strategie che devono essere messe in atto per favorire l’inclusione di chi manifesta difficoltà nell’apprendere, o svantaggi ambientali.
C’è poi la pressione psicologica che i docenti vivono come professionisti, legata al raggiungimento degli obiettivi e di risultati concreti all’interno del gruppo nel quale essi operano.
I teorici dell’insegnamento sono prodighi di suggerimenti che riguardano l’impiego della tecnologia e di metodologie più al passo con i nostri tempi. Ma in tutto questo affannarsi e studiare sistemi più efficaci di trasmissione del sapere, bisognerebbe interrogarsi più a fondo sull’indifferenza di molti dei nostri ragazzi rispetto alle proposte didattiche che la scuola offre.
Anche i più brillanti nello studio spesso sono spinti dal desiderio di ottenere buoni voti, o da un senso di responsabilità che i genitori sono riusciti a inculcare loro; pochi però riescono ad appassionarsi davvero alle diverse discipline, a provare coinvolgimento emotivo nell’approfondire le diverse tematiche.
Fin dall’inizio del corrente anno scolastico il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, è più volte intervenuto a sottolineare l’eccessivo impiego della lezione cosiddetta “frontale” nelle scuole e a stigmatizzare l’impostazione un po’ obsoleta e tradizionalista, nel senso deteriore del termine, dei percorsi di apprendimento.
Come “ri-svegliare” la scuola, cioè ridare vita, emozioni e senso al difficile lavoro quotidiano dei ragazzi e degli insegnanti?
Lo step iniziale deve tenere conto dei diversi di stili di apprendimento degli studenti di un gruppo e sostenere gli elementi più fragili nella costruzione di una buona autostima, innescando relazioni educative fondate sulla fiducia e sulla costruzione dell’interesse.
Fondamentale, poi, è l’attenzione dedicata all’impostazione di un buon metodo di studio. Occorre guidare gli alunni nell’instaurare una buona relazione con il testo di riferimento, favorendo una corretta assimilazione dei contenuti da esso riportati.
Per fare questo occorre una ricerca attiva che passi attraverso l’arricchimento lessicale, da attivarsi anche mediante l’individuazione e la memorizzazione di parole chiave e concetti di base. L’approccio allo studio deve avere sempre una impostazione “attiva” e itinerante, gli alunni fin da piccoli dovrebbero essere orientati anche a staccarsi dai materiali di partenza per operare confronti con altre fonti reperite magari in rete o tramite approfondimenti individuali.
Non ci possono essere dei buoni risultati senza un metodo preciso, sistematico e personalizzato, che tenga conto dei tempi di attenzione, della necessità di scansionare i momenti di studio, alternandoli a pause costruttive.
Il segreto sta nel gestire buona volontà, stanchezza ed eventuale senso di frustrazione. Determinante è anche l’atteggiamento degli educatori che sono chiamati a esprimere valutazioni sensibili ai percorsi migliorativi dei singoli, non solo centrate sulla performance. Il voto, inoltre, non spiega l’errore metodologico del discente, esso deve essere accompagnato da indicazioni e consigli che incoraggino al miglioramento.
Attenzione poi ai “distrattori”, oggi molto presenti e pervasivi, primo fra tutti lo smartphone, che però opportunamente utilizzato può invece diventare un buon alleato in uno studio proficuo e stimolante. Per favorire questo aspetto urgono politiche di sensibilizzazione ed educazione al corretto uso della tecnologia da attivare nelle scuole, ma anche a livello sociale attraverso i media e gli stessi social.
Silvia Rossetti