A fine novembre l’Istat ha pubblicato il report “Previsioni della popolazione residente e delle famiglie”. In un contesto generale preoccupante si segnala la situazione del Mezzogiorno dove l’età media della popolazione è destinata ad aumentare, ci saranno sempre meno coppie con figli e proseguirà lo spopolamento. È un problema antico, quello dello spopolamento, e proprio per questo risulta evidente quanto poco sia stato fatto per affrontarlo in oltre un secolo e mezzo di storia unitaria italiana.
Leggendo i dati emerge come in altre aree geografiche il Paese sia al passo con i tempi. Lo si comprende guardando la migrazione interna. Per l’Istituto di statistica nei prossimi anni risulteranno attrattive non solo le zone densamente popolate e quelle a densità intermedia, ma perfino le zone rurali. Discorso che vale solo per il Centro-Nord, dal Sud si andrà via sia dalle città grandi e piccole, sia dalle aree rurali.
Oggi, come nel secolo scorso e negli ultimi decenni dell’Ottocento, è il lavoro a spingere a partire. Più correttamente, sono le condizioni di lavoro. Perché il lavoro è anzitutto dignità. Lo sostiene con forza papa Francesco: nell’omelia per la festa di san Giuseppe lavoratore, nel 2020, ha usato ben 15 volte la parola “dignità”.
Anche per il problema occupazionale attendiamo la fine della pandemia come un evento salvifico. «Ne usciremo migliori» è la frase che ci ha fatto coraggio nei giorni più duri. Sarà così per tutti? È destinato ad essere migliore, ad esempio, l’imprenditore che ha chiesto al dipendente messo in cassa integrazione Covid di consegnare a lui la somma concessa dallo Stato? Temo di no. Una grande occasione per la modernizzazione del Paese arriva dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Le sue risorse andranno usate con saggezza se si vuol far dare al Sud un appeal anche dal punto di vista lavorativo. Diversamente, avremo qualche nuova infrastruttura, magari servizi migliori e nulla più.
Vito Bentivenga, Ufficio stampa Università Milano-Bicocca