La storia delle elezioni del presidente della Repubblica documenta una grande varietà di percorsi e di esiti. Ci sono state elezioni compiute al primo scrutinio e altre che hanno richiesto decine di tentativi. E non sempre c’è stato un rapporto diretto tra la tempistica dell’elezione e la qualità del settennato.
In sé, quindi, non è motivo di sorpresa o di scandalo la tortuosità e l’affanno con cui le forze politiche sono giunte a questo appuntamento. Ci sono tuttavia alcuni fattori che caratterizzano in modo specifico e per certi versi inedito questa elezione.
Il primo è rappresentato in tutta evidenza dalla pandemia, che incide in modo determinante sulla situazione complessiva del Paese ma anche sulle concrete operazioni di voto del Parlamento in seduta comune. Il secondo è l’intreccio forte come non mai tra la scelta per il Colle e le sorti di Governo e Parlamento. L’elezione del presidente della Repubblica non può non avere ripercussioni sull’intero sistema istituzionale.
Nella logica della Costituzione tutto si tiene, i diversi poteri dello Stato sono allo stesso tempo indipendenti e interconnessi. Ma stavolta sul tavolo (o sui tavoli) per il Quirinale si è arrivati a discutere esplicitamente di quale esecutivo e di quale durata della legislatura.
Del resto, per la prima volta il premier in carica è apparso da subito come un potenziale protagonista nella competizione presidenziale. Ma questa circostanza non basterebbe a spiegare l’intreccio se non si tenessero presenti le sfide che attendono il Paese nell’anno o poco più che separa l’elezione del Presidente dalle elezioni politiche a scadenza naturale.
Anche a voler tenere sullo sfondo la pandemia (come se fosse possibile), incombe l’impegno per la concreta attuazione del Pnrr che deve entrare nel vivo altrimenti non avremo i fondi di cui abbiamo assoluto bisogno; a livello europeo riparte la discussione sulle regole di bilancio nell’era post-Covid e si tratta di una partita cruciale tanto più per un Paese ad altro debito pubblico come il nostro; il mercato energetico globale è in preda a convulsioni geopolitiche e il suo andamento impatta duramente sulla già faticosa transizione ecologica e sul consolidamento nel tempo della ripresa economica; l’inflazione cresce più del previsto e a dispetto delle stime di qualche mese fa non sembra che intenda fermarsi a breve. Occorre continuare?
Il terzo fattore da considerare è la debolezza dei partiti che si riflette sulla composizione di un Parlamento frammentato al limite dell’atomizzazione. Risulta persino improprio parlare di “franchi tiratori” in un contesto del genere.
Eppure, non ci si stancherà di ripeterlo, i partiti non solo sono indispensabili al buon funzionamento del sistema, come in ogni democrazia pluralista (cioè vera democrazia), ma in una democrazia parlamentare come la nostra hanno un ruolo cruciale, anche in questa circostanza che pure le Costituzione ha concepito oltre la logica delle maggioranze di governo, come rivelano i quorum richiesti e la stessa presenza dei delegati regionali.
Alle forze politiche, a queste forze politiche che sono in campo con tutti i loro limiti, tocca il compito di dare al Paese un presidente all’altezza del ruolo disegnato dalla Costituzione. Una personalità che per dignità personale, caratura politico-istituzionale e capacità di rappresentare l’unità nazionale non ci faccia rimpiangere troppo Sergio Mattarella.
Stefano De Martis
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