Sono tempi strani quelli che stiamo attraversando. Tempi difficili perché – inutile nascondersi dietro un dito – nella nostra società crescono atteggiamenti di scontento e discriminazione.
“Nulla sarà più come prima”, si diceva all’inizio della pandemia di Coronavirus, sperando però che il cambiamento portasse novità positive: una maggiore responsabilità condivisa, un senso comune di appartenenza, atteggiamenti di mutuo aiuto. Insomma, ci si augurava di andare verso un mondo nel quale fosse più facile dire “non sto bene io se non stai bene anche tu”. Non solo in rapporto ai vicini, ma considerando perfino la dimensione planetaria.
Ci troviamo invece in una specie di mare continuamente in tempesta, con polemiche, discussioni, contrapposizioni che francamente non si sarebbero volute vedere. La questione vaccini e novax, green pass e “Stato illiberale” è la punta dell’iceberg, ben visibile da tutti, sotto la quale stanno nuove intolleranze, rivendicazioni di parte, egoismi e paure.
La scuola, naturalmente non è esente da quanto succede anche se, in questo inizio di anno 2022, proprio dalla scuola è venuto un segnale importante, con la decisione di tenere aperti gli istituti nonostante timori e pressioni che si sono moltiplicati soprattutto nei primi giorni dell’anno. Timori e pressioni radicati anche in atteggiamenti di buon senso, visto l’accentuarsi dell’esplosione di contagi ed essendo abbastanza evidenti anche tante problematiche organizzative, legate tra l’altro alla presenza del personale. Tuttavia la scelta della scuola in presenza è un chiaro segnale al Paese della volontà di andare oltre l’emergenza e nello stesso tempo è come se chiamasse a raccolta una volta di più le energie e le persone per far fronte comune all’epidemia.
Nelle scuole abbiamo a che fare con i più giovani – enfaticamente potremmo dire con “il futuro” – e per questo, dichiarando un impegno speciale per il mondo scolastico è come dire la volontà di non lasciarsi abbattere. Agli sforzi dei medici, dei ricercatori, della classe politica si unisce in concreto quella di tutti quanti sono protagonisti del mondo della scuola: allievi in prima fila, chiamati a responsabilità anche in ordine alla prevenzione, con comportamenti virtuosi (dalle mascherine al distanziamento) non immediati per i più giovani; e poi famiglie, docenti, dirigenti e tutto il personale scolastico.
La scuola è anche il luogo privilegiato dove poter disinnescare i timori e il pericolo della disgregazione sociale. Dove le discussioni diventano non polemica sterile ma occasione di crescita. È difficile immaginare che nelle aule – in particolare nelle secondarie superiori – come nei corridoi (forse oggi meno frequentati) non si parli, ad esempio, della questione vaccini, degli obblighi, dei green pass. Le scuole funzionano da grande amplificatore di sentimenti e pensieri, raccolgono quello che succede nelle case, nelle strade e hanno la possibilità – grazie a chi per professione si cura dell’educazione – di elaborare in maniera critica informazioni e comportamenti. A scuola c’è la possibilità di contrapporre e ricomporre, cosa che non avviene così facilmente in altri luoghi.
Ecco, uno dei valori della ripartenza, della scuola in presenza, è anche questo: cercare di “mettere ordine” tra pensieri e sentimenti tumultuosi. Non per trovare soluzioni univoche, un pensiero mainstream che convinca ogni persona, ma per abituare ciascuno, a cominciare dai più giovani, a discutere, ascoltare, rispettare, dare valore a regole e persone.
Alberto Campoleoni