Energia e siccità. Ecco le due spine nel fianco dell’agricoltura italiana. Alle prese con una domanda che pare in ripresa (soprattutto all’estero), i campi e le stalle nazionali devono però fare i conti con l’impennata dei costi energetici ma anche con un problema particolare, tutto legato alle condizioni in cui si svolge la produzione: la mancanza d’acqua.
Energia, dunque. E cioè non solo più costi per riscaldare le serre e per far funzionare le macchine agricole, ma anche maggiori oneri per l’acquisto di fitofarmaci e concimi (tanto per dire di due delle voci più importanti nel bilancio di un’azienda agricola).
E’ un problema che non investe ovviamente solo l’agricoltura ma tutta l’economia e quindi anche l’intera filiera agroalimentare.
I coltivatori diretti a questo proposito hanno fatto notare che questo comparto (rivelatosi strategico per il Paese), “assorbe oltre il 11% dei consumi energetici industriali totali per circa 13,3 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) all’anno”.
Per questo gli osservatori della lunga e complessa filiera che porta gli alimenti dai campi alle tavole parla di un “impatto devastante”. Che si capisce proprio guardando più da vicino gli innumerevoli aspetti nei quali l’energia compare. Nel sistema agricolo i consumi diretti di energia includono i combustibili per trattori, serre e i trasporti mentre i consumi indiretti ci sono quelli che derivano da fitosanitari, fertilizzanti e impiego di materiali come la plastica (4,7 Mtep). Il comparto alimentare richiede invece – sintetizza in una nota Coldiretti – ingenti quantità di energia, soprattutto calore ed energia elettrica, per i processi di produzione, trasformazione, conservazione dei prodotti di origine animale e vegetale, funzionamento delle macchine e climatizzazione degli ambienti produttivi e di lavoro (8,6 Mtep).
Certo, l’evoluzione delle tecniche agricole nel tempo ha portato a forti risparmi. Ma il cosiddetto caro-bolletta oscura comunque l’orizzonte agroalimentare nazionale.
Così come pesa la questione idrica. Per capire, basta leggere la nota preoccupata della Anbi (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e della Acque Irrigue) che spiega: “Non c’è solo l’emergenza Covid a determinare grande preoccupazione per le zone rosse: è così anche per le disponibilità idriche, negativamente condizionate da un inverno finora avaro di significative precipitazioni. Impietoso è il confronto con l’anno scorso, quando i mesi più freddi furono caratterizzati da importanti fenomeni meteo che, oltre ai disagi, garantirono però apporti di pioggia, indispensabili a rimpinguare i bacini per rispondere alle esigenze del periodo estivo”. Si tratta di un problema grave, che sulle pagine dei giornali viene quasi ignorato e che costituisce oggi l’incubo per molti addetti ai lavori. E che interessa pressoché tutto lo Stivale. Dice ancora Anbi che “a settentrione il livello dei grandi laghi resta abbondantemente sotto la media con l’eccezione del Garda e analoga è la situazione in alcuni bacini meridionali”. Questo per i laghi: condizioni che si riflette anche nei fiumi. “Tornando al Nord – dice ancora l’associazione -, tutti i fiumi sono in sofferenza (unica eccezione, la Dora Baltea in Valle d’Aosta). Le portate del Po sono in ulteriore calo, scendendo a livelli da estate piena”. Si prospetta in generale la necessità di una scelta tra usi agricoli (e quindi alimentari) dell’acqua e usi civili (e quindi per le città e le industrie).
Quindi che fare? Anche se lontane (in apparenza) le due spine di cui l’agricoltura e l’agroalimentare soffrono, possono essere “estratte” solamente con investimenti poderosi e interventi a breve termine per le situazioni più difficili. È una cura complessa.
Ed è la prospettiva del Pnrr che si delinea, almeno per i progetti più importanti che possono essere realizzati. Servono però, come si è detto, anche soccorsi immediati. E serve, per tutto, anche un coordinamento e un’efficienza che non sempre si ritrovano nella realtà dei fatti.
In gioco, tuttavia, c’è uno dei comparti più importanti e rappresentativi per l’Italia.
Andrea Zaghi