La deriva del “diritto a morire”

Ne parliamo ne “Il punto” di Insieme, questo mese a firma di Francesco Ognibene, giornalista di Avvenire
eutanasia - diritto - morire - morte

Meglio una legge che consente il suicidio assistito o che permette l’eutanasia? Nessuna delle due, ovvio.

Ma siamo a questo punto, e bisogna prenderne atto con molta preoccupazione e altrettanto realismo. Non tutto è perduto, ma la lesione del principio dell’indisponibilità della vita umana è dietro l’angolo: si tratta di capire come fare a contenerla.  

Le partite aperte sono due, entrambe determinate dalla legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (la 219 del dicembre 2017) e dalla sentenza 242 con la quale due anni dopo la Corte costituzionale aprì un piccolo varco alla non punibilità della collaborazione attiva al suicidio altrui, pronunciandosi sul dramma di Dj Fabo.

Se la legge introduceva il principio che ogni paziente può ottenere di interrompere qualunque forma di cura, inclusa la nutrizione, la Consulta creò il varco legale per la morte a richiesta, chiarendo tuttavia che ogni richiesta deve sottostare a quattro condizioni: malattia irreversibile, dolore fisico o psicologico intollerabile, permanenza in vita dipendente da sostegni vitali e capacità di intendere e volere.

La Corte aggiunse che toccava al Parlamento scrivere una nuova legge che ricalcasse la sentenza, ed è quello che sta accadendo alla Camera con la proposta di Alfredo Bazoli (Pd) che però già dal titolo (“Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”) fa capire che si vuole andare oltre il ristretto perimetro disegnato dai giudici costituzionali, ignorando peraltro le cure palliative, che azzerano le richieste di morte.

Intanto la stessa Corte deve decidere se gli italiani voteranno sulla legalizzazione dell’omicidio del consenziente, come chiesto dai radicali: se passasse il referendum, chiunque lo chiede potrebbe essere ucciso, senza condizioni previe. Sarebbe il “diritto a morire” che non esiste in nessun Paese al mondo.

Una legge che “copi” la sentenza della Consulta, non lasciando le richieste di morte in mano ai tribunali, e la vanificazione del referendum sono dunque gli obiettivi per i quali, con il suddetto realismo, ora dobbiamo batterci.

Francesco Ognibene, giornalista di Avvenire

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