Si chiamano “life skills”, letteralmente “competenze per la vita”, sono le abilità che generano comportamenti positivi e di adattamento, che rendono la persona capace di affrontare le “peripezie” dell’esistenza, tanto per attingere al linguaggio della narratologia.
In questi ultimi due anni, in particolare, abbiamo utilizzato il termine “resilienza” mentre gli psicologi parlano da tempo di “capacità adattiva”. Insomma, nihil novi sub sole.
La novità è, invece, che dal prossimo anno scolastico sarà avviata una sperimentazione triennale nazionale per attività finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive nei percorsi delle scuole di ogni ordine e grado, contemporaneamente ad un’attività di formazione dei docenti.
È una proposta di legge approvata dalla Camera nello scorso mese di gennaio che ora passa al Senato.
Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, nel ringraziare l’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà e il Parlamento per il lavoro fatto, ha dichiarato che «una scuola che educhi ad essere consapevoli di sé è, finalmente, una scuola inclusiva».
Leggendo il testo della Legge, all’articolo 1, apprendiamo che si rende necessario introdurre nel metodo didattico le competenze non cognitive quali «l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura mentale, per arginare la povertà educativa».
La riflessione è questa: le relazioni umane nello spazio scuola, il confronto e lo scontro, l’insuccesso e il successo scolastico sono da sempre “accadimenti” che accompagnano e nutrono la vita degli studenti. D’altro canto, la conoscenza, la meditazione, lo studio intelligente sono proprio quegli ingredienti che formano la persona anche in direzione delle competenze non cognitive. È segno che, forse, il “sapere” non basta più.