Una protesta che fa rumore

In generale i cortei e le manifestazioni che degenerano in aggressioni e violenze sono limitati e riguardano una parte infima del mondo studentesco.

Facendo una banalissima ricerca su Google con la parola-chiave “scuola”, colpisce che i primi risultati riguardino tutti – o quasi – questioni di violenza.

Ci sono i cortei degli studenti che fanno scrivere e parlare. E fin qui niente di nuovo. Colpisce, semmai, che questi cortei si tramutino – così raccontano le cronache – in occasioni di scontri, assalti più o meno violenti per esempio ad alcune sedi di Confindustria.

La questione che scatena – in questo caso – è legata alla recente morte di due ragazzi in alternanza scuola-lavoro. E proprio su questo tema le fonti riportano espressioni forti da parte di alcune componenti studentesche che reclamano – peraltro cosa sacrosanta – come sia inammissibile che si muoia in scuola-lavoro.

“Noi – ha spiegato a un quotidiano Simon Vial, responsabile nazionale del Fronte della Gioventù Comunista, che ha organizzato le manifestazione in oltre 40 città italiane – siamo contro questo sistema di iscrizione che fa sì che gli studenti siano costretti a lavorare gratis e senza diritti e rischino pure la propria vita”.

Chi può non essere d’accordo? È evidente che quando il sistema di alternanza scuola-lavoro si trasforma in un meccanismo di sfruttamento, non solo devia dalle proprie finalità, ma anche commette un reale abuso sia nei confronti dell’istituzione scuola che ne ha pensato l’avvio in vista di una migliore formazione degli studenti, sia, prima ancora, verso tutte le persone coinvolte.

Da registrare – per dovere di cronaca – che proprio il sistema dell’alternanza è stato più volte in passato al centro delle discussioni scolastiche, tra l’altro in modo positivo e con richieste crescenti. Ma evidentemente qui se ne denuncia una deviazione.

Non c’è solo questo nelle proteste studentesche. Il caso della maturità e della seconda prova reintrodotta dal ministro Banchi è un altro motivo di contrapposizione, con la dialettica crescente del “nemico” (Stato e Istituzioni). Ora da Viale Trastevere si pensa a una rimodulazione, in particolare a proposito dei “pesi” che le prove potranno avere nel complesso della maturità: certo è che l’annunciato “ritorno alla normalità” del ministro non è stato accolto bene da tutti.

Ma torniamo alla violenza, che è il vero fatto preoccupante. Con una precisazione dovuta: non si può generalizzare. In generale i cortei e le manifestazioni che degenerano in aggressioni e violenze sono limitati e riguardano una parte infima del mondo studentesco. Tuttavia fanno rumore e in questo tempo vanno ascoltati in modo speciale, perché tradiscono una tensione crescente che attraversa anche il mondo giovanile.

Lo si è detto tante volte. Il tempo della pandemia ha fortemente penalizzato i più giovani. Li ha spesso chiusi in casa, ha tolto la ricchezza di relazioni e confronti, tra coetanei e tra generazioni. Tutto questo non può non avere conseguenze e il mondo della scuola – che è il primo mondo vitale per ragazze e ragazzi e che cerca di ripartire – non può non fare i conti con questa situazione.

Come? La soluzione è anzitutto nelle aule, dove si tratta davvero di tornare alla normalità, cioè a quello svolgersi quotidiano di rapporti che devono imparare a costruirsi nel rispetto reciproco, nell’ascolto, nell’accoglienza e nella mediazione tra le diversità, nell’uso pacato del confronto, del ragionamento, della dialettica tra posizioni diverse che non si trasforma in violenza ma che cerca la mediazione.

È questa la strada per disinnescare tensioni sempre più pericolose, che tra l’altro si sommano a un quadro politico sociale anche internazionale, che fa della “guerra” vanto e spauracchio insieme.

Alberto Campoleoni

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