Dalla parte dei volontari

Il vero diritto da rivendicare, hanno scritto i Vescovi nel messaggio per la 44esima Giornata per la Vita, è quello che ogni vita terminale o nascente sia adeguatamente custodita. Abbiamo raccolto l’esperienza di chi scende in campo a difesa della vita nascente.

In Italia nel 2020 le interruzioni volontarie di gravidanza sono state 67.683. Un numero pari al doppio degli abitanti del comune di Angri. E si tratta di un dato ancora parziale, anche se in diminuzione rispetto agli anni precedenti: nel 2019 gli aborti nel nostro Paese sono stati 73.207, nel 2018 invece 76.328.

In tutte le Regioni si registra, complice la pandemia, un aumento dell’aborto farmacologico con l’utilizzo della pillola Ru486. Il medicinale consente di non tenere le donne in ospedale e di non usare le sale operatorie. Nell’agosto del 2020 infatti il ministro Speranza ha autorizzato la somministrazione della pillola anche senza ricovero e fino a 9 settimane dal concepimento. 

In questo contesto il volontariato per la vita assume un ruolo decisivo per tentare di dare voce a quel bambino che non ha voce e aiutare le famiglie a rimuovere gli ostacoli che impediscono di accogliere serenamente una nuova vita. 

«Era il 1996 quando ho cominciato il mio cammino di fede. In quegli anni, al percorso personale si affiancava subito un impegno di carità. Prima cominciai a dare una mano alla dispensa, dove arrivavano beni di ogni tipo, sistemati e donati alle famiglie che ne avevano bisogno. In seguito iniziai ad affiancare alcune volontarie con più esperienza nei colloqui per la vita». A parlare è Alfonso Orlando, ingegnere angrese che ha maturato la sua fede nel movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus, dal 2 gennaio 2019 presidente del Progetto Famiglia Vita, il braccio operativo impegnato nel servizio alla vita nascente.

Angela e Alfonso Orlando insieme ai tre figli Maurizio, Davide e Gerardo

«Quando in associazione arrivava la segnalazione di una donna in difficoltà, che faceva fatica ad accogliere la vita che le era sbocciata in grembo, due persone andavano a parlarle offrendo ogni tipo di supporto possibile. Quando il colloquio era positivo, e la mamma decideva di non interrompere la gravidanza, con quella famiglia si costruiva un legame di amicizia perché l’obiettivo era, e lo è ancora oggi, aiutare quel nucleo familiare a superare le cause di quel momento di difficoltà. Tanti sono gli esempi che potrei citare di famiglie che oggi vivono serenamente perché hanno risolto pienamente i loro problemi».

Il ruolo del volontario per la vita è complesso, spesso non è compreso a livello sociale perché viene visto come una intromissione nella sfera di libertà di un’altra persona. Anche emotivamente ha i suoi contraccolpi. Dall’esperienza trentennale dell’associazione emerge un dato statistico: un colloquio su tre va a buon fine. Questo significa che il volontario spesso è chiamato a fare i conti con l’insuccesso. E qui la posta in gioco è la vita di un bambino.

Chiedo ad Alfonso come ha fatto in questi anni a superare il rifiuto ad accogliere la vita. «Nella mia formazione – racconta – un ruolo importante lo ha avuto don Franco Fedullo, della diocesi di Salerno. Ci diceva sempre: “Tu puoi anche fallire all’occhio umano, a volte sarai cacciato e non riuscirai in nessun modo a dare voce a quel bambino nascosto nel grembo materno che non ha voce. Ma se salvi anche uno solo di quei bambini destinati a morte certa, avrai salvato il mondo”. Ecco, ho fatto mie quelle parole». Il sacerdote, parroco della chiesa di San Domenico, ex direttore della Caritas della diocesi di Salerno, che ha consacrato la sua vita alla difesa della vita nascente si è spento prematuramente lo scorso 30 gennaio presso l’ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” dove era ricoverato dopo aver contratto il Codid-19.

La moglie di Alfonso, Angela Orlando, aggiunge che far parte di una comunità aiuta moltissimo: «Il risultato di un colloquio positivo è frutto di una rete che viene tessuta intorno a quella famiglia e a quel bambino, tante persone che diventano angeli custodi di quel piccolo. Un amico che sa della difficoltà della mamma e contatta l’associazione. Persone che iniziano a pregare. Volontari che vanno dalla famiglia, fortificati anch’essi dell’arma della preghiera. Non ci sono parole giuste da dire, è lo Spirito che ispira».

Filomena Civale, un medico al servizio della vita

All’incontro è presente anche la dottoressa Filomena Civale, giovane medico al servizio della vita. Il suo impegno affonda le radici nella sua giovinezza. Frequenta il liceo, è vicina alla maturità quando una cara amica scopre di essere incinta. Decide di abortire. «Dentro di me si è acceso un istinto protettivo nei confronti di quel bambino – racconta –, ho pensato che fosse una profonda ingiustizia. Senza voler edulcorare le parole, si impediva ad un bambino di nascere. Non capivo perché un medico, la cui vocazione è proteggere la vita, l’accompagnasse in questo percorso. Perché non l’aiutava a capire cosa portava in grembo».

Oggi quella ragazza prossima alla maturità è un medico, probabilmente il suo futuro è stato in parte determinato da quell’episodio. Le domando cosa dice la scienza sull’inizio della vita umana.

«Ho fatto una tesi in ecografia ostetrica – spiega –, il soggetto del mio lavoro era il feto a 3 mesi di vita. Bisogna ricordare che la legge 194 che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza prevede l’aborto fino a tre mesi e 3 giorni. Io ho studiato l’anatomia del feto a 3 mesi. La scienza non rinnega che il feto abbia una sua identità, con un suo sviluppo embrionale. Parlare di un grumo di sangue non è corretto o, volendo essere più precisi, non è una verità scientifica. Il feto a 3 mesi ha già tutto formato, anche se è tutto molto piccolo: ha il sistema nervoso, la vescica, la colonna vertebrale, il cuore che batte già dal 21esimo giorno di gestazione, quando la mamma ancora non sa di essere incinta».

Il lavoro di tesi è stata un’esperienza che le ha fatto contemplare il mistero della vita: «Siamo di fronte ad un bambino formato che deve solo maturare. La scienza non rinnega questa verità e questo spiega l’alto numero di medici obiettori di coscienza». 

Filomena ha vissuto gli anni universitari con il desiderio di mettersi al servizio della vita. Oggi si sta specializzando in Anestesia e Rianimazione presso l’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli ed è assegnata all’Ospedale Pascale di Napoli. «Anche la mia specializzazione è nel solco del servizio alla vita, quella terminale» aggiunge.

Insieme ad altre 4 ragazze è impegnata nell’ambito della sensibilizzazione che l’associazione, intitolata nel 2021 a Franco Vitale, volontario storico scomparso prematuramente il 16 agosto del 2009,  ha deciso di potenziare.

Questo settore prevede un corso di formazione per volontari, giunto alla seconda edizione e aperto anche a chi desideri approfondire questi temi, che si conclude in prossimità della Giornata per la Vita con un convegno; incontri di sensibilizzazione nelle scuole e nelle parrocchie a cui si aggiunge l’impegno sui social con la gestione della pagina Facebook e Instagram “Battito di Vita”. Ambito quest’ultimo affidato alla “seconda generazione” di volontari, tutti giovani. Insieme a Filomena ci sono Marialessia Consagna e Ilaria Iovane, studentesse in Medicina, Marilena Gallo, studentessa in Giurisprudenza, e Maria Paola Imbriaco, studentessa in Architettura.

Filomena Civale e Marialessia Consagna

Un tema come quello della vita nascente, oltre alla passione, richiede sempre più  una specifica formazione scientifica e giuridica. I social esigono anche competenze grafiche. Lo spiega bene Marialessia: «Il nostro impegno è formare una coscienza sul valore della vita e oggi ha una novità che è la presenza sui social. Abbiamo una pagina che si chiama “Battito di Vita” su fb e In. È una modalità di sensibilizzazione e formazione più diretta con messaggi di verità scientifica e giuridica». Si tratta di un approccio che parte dalla conoscenza, lo stile è quello di annunciare la verità con la carità. 

«Non è facile entrare nelle scuole – raccontano –, si è portati a pensare che si voglia in qualche modo attaccare la legge 194. Se in generale c’è una banalizzazione dell’aborto, figuriamoci di quello farmacologico. Ecco che la sfida diventa culturale. È necessario formare e informare». Uno stile che paga. «In una scuola abbiamo mostrato la bellezza della vita nascente senza usare nessuna immagine violenta o legata all’interruzione di gravidanza.  Ad un certo punto, tre ragazze si sono alzate e sono andate via. Avevano già interrotto la gravidanza». 

Al di là delle proprie idee e convinzione un aborto resta una scelta dolorosissima. Lo spiega bene Angela: «ricordo ancora il colloquio più difficile che ho fatto insieme ad Alfonso, il marito era contrario all’interruzione di gravidanza, la moglie invece non volle sentire ragione. Ritornammo il giorno dopo. Nel frattempo, al mattino, lei aveva abortivo. La trovammo in bagno a piangere disperata. Ecco, quelle lacrime io non le ho mai dimenticate».

Info

– Se aspetti un bambino e vivi un momento difficile, chiama il numero rosa 320 6737841. Troverai persone disposte ad ascoltarti e ad aiutarti. 

– Se desideri organizzare un incontro su questi temi in parrocchia o nelle scuole scrivi alla segreteria dell’associazione: vita@progettofamiglia.org

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