Il cammino quaresimale si apre in un momento di grande incertezza e preoccupazione.
Come se non bastassero i due anni di pandemia che ci hanno fiaccati nel corpo e nella mente, i venti di guerra invadono le nostre vite e le immagini che arrivano da Kiev, gli sfollati, le famiglie in fuga, gli occhi inquieti dei bimbi ci scuotono con la loro drammaticità.
E nel tempo che prepara alla Pasqua ci ritroviamo assaliti da una nuova inquietudine alla quale far fronte e in questo ci viene incontro l’appello di papa Francesco a vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace il prossimo 2 marzo, mercoledì delle Ceneri.
L’appello è stato accolto e condiviso dal nostro Vescovo Giuseppe, che in occasione del Messaggio per la Quaresima diffuso questa mattina ci ha ricordato che: “la preghiera e il digiuno sono le nostre armi per vincere nelle piccole e grandi guerre”.
Nel suo Messaggio dal titolo Quaresima, il cammino più difficile, inoltre, Mons. Giudice, si sofferma sulla parabola del Padre misericordioso e ci invita a vivere momenti di vera preghiera per accompagnare il Cammino sinodale della nostra Chiesa.
Carissimi,
il CAMMINO SINODALE che stiamo percorrendo con le Chiese che sono in Italia, chiede di essere accompagnato, sostenuto e guidato innanzitutto dalla preghiera personale. E il tempo liturgico della Quaresima, stagione preparatoria alla Pasqua, è già di per sé una grande scuola di preghiera ed un invito pressante a riscoprire il dono e l’impegno della preghiera, soprattutto l’invocazione allo Spirito Santo, ben sapendo che nulla è possibile nella vita della Chiesa e nella nostra senza questo soffio, questa carezza, questo fuoco spirituale.
Al Messaggio per la prossima Quaresima, unisco l’invito a vivere, personalmente o in comunità, momenti di vera preghiera per accompagnare il CAMMINO SINODALE della nostra Chiesa.
Lo Spirito Santo, Maestro interiore, non farà mancare a nessuno di noi fantasia e creatività per vivere questi momenti e questa stagione ecclesiale.
Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre (Lc 15,17-20).
La stagione liturgica della Quaresima si presenta come un cammino, una salita a Gerusalemme, città della Pasqua. E si può configurare, per ognuno di noi, come un passaggio e quindi una Pasqua, dalla terra dell’esilio alla patria della libertà, dall’ombra del peccato alla luce sfolgorante della grazia.
Ogni anno, nel tempo quaresimale che inizia con il Rito delle Ceneri, siamo spronati, passo dopo passo, a celebrare la nostra libertà, intonando insieme il canto dei redenti in Cristo.
Tre viaggi, o cammini, mi sembra di intravedere nella stupenda, e mai approfondita abbastanza, parabola dell’amore misericordioso che l’evangelista Luca riporta al capitolo 15,11-32.
Il primo viaggio lo compie il figlio più giovane quando, chiesta la parte del suo patrimonio, partì per un paese lontano (Lc 15,13).
Il secondo viaggio lo compie ancora il figlio più giovane quando, sperimentata la miseria, partì e si incamminò verso suo padre (Lc 15,20).
Viaggio di andata e ritorno, e nel mezzo si consuma il dramma della libertà apparente, o malata.
Ma c’è un terzo viaggio, che ritengo il più difficile e che può decidere della nostra conversione e felicità, ed è ancora quello del figlio minore che, in mezzo ai porci, speso tutto, nella carestia e nel bisogno, rientrò in se stesso (Lc 15,17).
Nessuna conversione, nessun viaggio di ritorno è possibile, se non si ha il coraggio di scendere dentro di sé, entrare nella stanza segreta della coscienza, come ci ricorda il Concilio: La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità (Gaudium et spes 16).
Ci sovviene sant’Agostino: “Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità. E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione” (De vera religione 39,72).
Ed ancora: “Oh, se vedessero nel loro interno l’eterno, che io per averlo gustato, fremevo” (Confessioni 9,4,10).
Mi sembra questo in viaggio più difficile, al quale ci invita la santa Quaresima con tutta la tradizione della Chiesa, e che spesso vogliamo eludere condannandoci ad una vita infelice, grama, arrabbiata e sempre alla ricerca di capri espiatori su cui far cadere tutte le colpe.
Il figlio prodigo, certamente costretto dal bisogno, segno di cui Dio si serve per la conversione, ha il coraggio di scendere nei bassifondi della sua anima, nei meandri della sua coscienza, nei ripostigli della memoria per poter comprendere la sostanziale differenza tra l’essere servo e l’essere figlio: tutto ciò che è mio è tuo (Lc 15,31), che si gioca tutto sull’amore del padre.
Di questo cammino interiore, sostanziato di preghiera, digiuno, carità, e sostenuto dal sacramento della riconciliazione, abbiamo bisogno per incamminarci verso la Pasqua e godere dell’abbraccio del Padre misericordioso che, sull’uscio di casa, sempre ci attende. Attende ognuno di noi; chi è partito e ritorna libero, ma anche chi è rimasto ed è prigioniero della gelosia.
Aiutati dalla grazia, intraprendiamolo anche noi questo viaggio nel profondo del nostro cuore e così, liberi e liberati, gioiosi e pacificati, potremo cantare l’alleluia pasquale.
Se avessimo il coraggio di scendere dentro di noi, facendo la verità nella carità, senza valutarsi più di quanto conviene (cfr Rm 12,3), accorgendoci che la verità ci rende liberi, quante situazioni, a livello personale, familiare, associativo, parrocchiale, presbiterale, sociale, politico, uscirebbero da uno stallo e la vita di tutti scorrerebbe su binari più semplici, scorgendo insieme orizzonti più ampi e più sereni.
E la festa potrebbe cominciare (cfr Lc 15,24).