Il castello del regime di Vladimir Putin scricchiola sempre più rumorosamente. Rischia di infrangersi. Certo sotto i colpi delle sanzioni ma anche per l’isolamento in cui viene relegato da tutti i mondi possibili: sport, cinema, cultura, arte, scienza.
Ma a prendere le distanze dalla guerra sono gli stessi russi: non quelli delle province, dove la fonte primaria di informazione continua ad essere la tv di Stato, ma a Mosca e nelle principali grandi città, dove si può e si sa accedere sulla rete a informazioni non controllate, la dissidenza si muove e si sta ampliando un fronte interno di opposizione.
Il primo gesto spontaneo ma diffuso di protesta è stato quello di scendere in strada, fin dal primo giorno di attacco, il 24 febbraio. Poiché è vietato dalla legge manifestare senza aver comunicato 10 giorni prima l’iniziativa, la polizia ha represso, fermato, arrestato.
La testata Ovd-Info, al 3 marzo 2022, riportava oltre 7.600 arresti, 2800 persone fermate solo nella giornata di domenica 28 febbraio.
Chi non può rischiare ma non vuole rinunciare a prendere distanza, allora va a “passeggiare” la sera lungo la centralissima via Tverskaja a Mosca, o sta ferma, senza dire nulla e magari appende agli alberi biglietti di protesta e se ne va. “Chi non è d’accordo non può fare molto”, ci raccontano diverse fonti da Mosca.
Tra i fermati (e picchiati) anche persone note come il sociologo Grigory Yudin, Maria Alyokina delle Pussy Riot, arrestata per 15 giorni, o il vicepresidente della sezione di Mosca del partito d’opposizione Yabloko, Kirill Goncharov, arrestato per 10 giorni per aver “organizzato” una iniziativa contro la guerra.
Il partito ci riproverà il 12 marzo: Yabloko – si legge sul sito del partito – ha notificato all’ufficio del sindaco a Mosca, con i 10 giorni di anticipo previsti dalla legge, che ci sarà una marcia come “espressione dell’atteggiamento dei moscoviti nei confronti di un’operazione militare speciale”, dice la notifica, secondo la definizione che le autorità russe chiamano la guerra tra Russia e Ucraina. Si prevedono 30 mila persone. Dal carcere, Alekseij Navalny ha fatto un appello attraverso i social ai russi perché non diventino “vigliacchi che fingono di non notare la guerra aggressiva scatenata dal nostro folle zar contro l’Ucraina”.
E ha invitato tutti a scendere in piazza e a lottare per la pace: ogni giorno alle 19 e nel fine settimana alle 14: “Stringendo i denti e superando la paura, dobbiamo uscire allo scoperto e chiedere la fine della guerra”. Ogni persona arrestata sarà sostituita da due nuovi manifestanti, propone Navalny: se per fermare la guerra dovremo riempire di noi stessi le prigioni, lo faremo. Non siamo contro la guerra. Combattiamo contro la guerra”.
A essere controllati e perquisiti sono anche giornalisti e testate.
La scure della censura si è abbattuta nella giornata del 1 marzo su due emittenti famose indipendenti: le onde di Radio Eco di Mosca sono state zittite (lo si può però ancora sentire su youtube o sul sito internet) e oscurata la pagina della testata internet Dozhd (Pioggia) che già compariva con la terribile dicitura di “agente straniero”. Il giorno prima era stata censurata anche la pagina internet della Rivista Doxa, giornale indipendente del mondo universitario.
Colpa comune: aver criticato l’attacco all’Ucraina.
La testata Novaya Gazeta diretta dal premio Nobel per la pace Dmitri Muravev, ha riferito che il capo della commissione della Duma per la sicurezza e la lotta alla corruzione, Vasily Piskarev ha proposto di introdurre un nuovo capo d’accusa contro chi “distorce lo scopo, il ruolo e i compiti delle forze armate della Federazione Russa”.
Si rischiano fino a 15 anni di carcere. L’idea è già stata approvata dal presidente della Duma di Stato Vyacheslav Volodin e presto potrebbe essere votato dalla Duma di Stato. Il capo del Consiglio per i diritti umani Valery Fadeev, ha proposto di bloccare Facebook per la durata dell’“operazione speciale”, come viene definita l’aggressione all’Ucraina, per impedire la diffusione del “flusso di informazioni false”.
Sono intanto comparse su internet tante petizioni per dire no alla guerra.
L’associazione dei matematici, il 28 febbraio ha scritto: “I molti anni di sforzi per rafforzare la reputazione della Russia come centro matematico leader sono stati completamente svalutati a causa dell’aggressione militare non provocata iniziata dal nostro Paese”. Tra l’altro la Russia avrebbe dovuto ospitare nell’estate del 2022 il Congresso internazionale dei matematici, ma l’Unione matematica internazionale ha annullato questa decisione.
Il 24 febbraio anche scienziati e giornalisti scientifici russi avevano scritto una “lettera aperta contro la guerra con l’Ucraina”, in cui si diceva che “non c’è una giustificazione razionale per questa guerra” e il Donbass veniva definito un “pretesto per lanciare un’operazione militare”, e la guerra contro l’Ucraina “ingiusta e insensata”, un “passo verso il nulla”. E ancora: “Scatenare una guerra per il bene delle ambizioni geopolitiche dei vertici della Federazione Russa, spinti da dubbie fantasie storiografiche, è un cinico tradimento della memoria”.
Lo stesso giorno circa 300 corrispondenti dei media russi ed esperti di politica estera hanno condannato l’operazione militare: “La guerra non è mai stata e non sarà mai un metodo per risolvere i conflitti e non c’è alcuna giustificazione per questo”.
A lanciarla la giornalista di Kommersant Yelena Chernenko che il 25 febbraio è stata espulsa dal pool di giornalisti del ministero degli Affari Esteri “per mancanza di professionalità”, secondo la formulazione ufficiale. La giornalista ha chiesto alla direttrice del dipartimento informazione e stampa del ministero affari esteri di “non agire contro altri colleghi firmatari”.
Sono una cinquantina fino ad ora, i professionisti che sono stati sospesi per aver scritto o sottoscritto o pronunciato parole contro la guerra.
Il direttore artistico del Teatro statale di Mosca e Centro culturale intitolato a Vsevolod Meyerhold (TsIM), Dmitry Volkostrelov è stato licenziato perché aveva scritto un post critico su Facebook.
Il suo licenziamento è avvenuto il giorno dopo in cui la direttrice del Centro Elena Kovalskaya si era autonomamente dimessa per protesta contro la guerra con l’Ucraina. A essere stato sospeso è stato anche il direttore d’orchestra dell’Opera di Niznij Novgorod Ivan Velikanov: la sera del 25 febbraio, prima dell’esecuzione dell’opera in programma ha fatto un breve discorso di ripudio della guerra e ha fatto eseguire l’Inno alla gioia di Beethoven. Per questo non ha potuto dirigere il 1 marzo le “Nozze di Figaro” a Mosca al festival della Maschera d’Oro.
“Vorrei esprimere la mia gratitudine a chi ha cercato di difendermi e rispetto ai colleghi che non hanno accettato di sostituirmi”, ha scritto sul suo profilo Facebook. A esprimersi contro la guerra, anche il regista teatrale Lev Dodin, l’attrice e conduttrice televisiva Julia Menshova, Anatoly Bely e Sergey Lazarev, l’attrice Elizaveta Boyarskaya, la cantante lirica Anna Netrebko. Altre sospensioni potrebbero arrivare con il passare dei giorni.
“Fino alla fine della tragedia umana e politica che si sta svolgendo in Ucraina” ha invece scritto sul suo sito il Garage Museum of Contemporary Art di Mosca, si sospende l’attività per preparare le mostre annunciate: “Non possiamo sostenere l’illusione della normalità quando si verificano tali eventi”. Poiché Garage è un’istituzione internazionale aperta a una pluralità di voci, “siamo categoricamente contrari a tutte le azioni che seminano divisione e creano isolamento”.
Un “appello alla riconciliazione e alla fine della guerra” è stato lanciato anche da alcuni sacerdoti della Chiesa ortodossa russa: “ci appelliamo a tutti coloro da cui dipende la cessazione della guerra fratricida in Ucraina, con un appello alla riconciliazione e a un cessate il fuoco immediato”.
I circa 200 firmatari (per la maggior parte sacerdoti, ieromonaci e diaconi che vivono al di fuori della Russia), sono addolorati per “il processo a cui i nostri fratelli e sorelle in Ucraina sono stati immeritatamente sottoposti”. E ancora: “Pensiamo amaramente all’abisso che i nostri figli e nipoti in Russia e Ucraina dovranno superare per ricominciare a essere amici, rispettarsi e amarsi. Rispettiamo la libertà dell’uomo data da Dio e crediamo che il popolo ucraino dovrebbe fare la sua scelta da solo, non sotto la minaccia delle armi, senza pressioni da parte dell’Occidente o dell’Oriente”.
Sarah Numico