“Non ille ire vult, sed non potest stare” (“Non è lui che vuole andare, ma non può stare fermo”). Con queste parole Seneca, nel I sec. d.C, illustrava in una delle sue lettere a Lucilio la personalità di Alessandro Magno.
L’espressione, naturalmente decontestualizzata, è spesso presa a prestito per rendere quel “moto perpetuo” che caratterizza gli irrequieti, coloro che non riescono a tenere a bada le proprie emozioni e la propria impulsività.
In ambito scolastico le parole del filosofo latino si prestano a descrivere tutti quei bambini e ragazzi che soffrono della sindrome da deficit dell’attenzione e iperattività, più comunemente nota con l’acronimo Adhd.
Gli Adhd sono quei bambini e ragazzi che non riescono a stare seduti al posto e si alzano continuamente, spesso richiamati per la loro ipercinesia. Troppo esuberanti, disattenti, impulsivi e certe volte perfino oppositivi. Non sempre vengono inquadrati correttamente con chi ha a che fare con loro, anche perché il disturbo si manifesta soprattutto in ambienti e situazioni non strutturati.
A casa, per esempio, è molto meno evidente e può sfuggire per questo motivo ai genitori che, magari, increduli ascoltano i racconti allarmati degli insegnanti rispetto al comportamento dei propri figli a scuola.
Secondo le stime più recenti nel nostro Paese la sindrome Adhd interesserebbe circa il 4% della popolazione, con oltre 400.000 casi riscontrati tra bambini e adolescenti. Naturalmente i dati fanno riferimento a casi censiti e certificati, ma la diffusione del disturbo pare essere certamente più diffusa. Sono in aumento, infatti, le diagnosi tardive, eseguite soprattutto in adolescenza.
L’Adhd può assumere nelle persone diverse traiettorie evolutive, anche a seconda di eventuali altri disturbi associati. Tra le conseguenze più diffuse di un Adhd non diagnosticato vi sono: abbandono degli studi, perdita del lavoro, separazioni, frequenti incidenti e ritiro della patente, predisposizione alle dipendenze e anche problemi con la giustizia.
Ma quali sono le cause di questo disturbo? Sicuramente alla base ci sono fattori genetici, ma anche sempre più frequentemente ambientali.
A scuola gli Adhd, rispetto ai loro coetanei, hanno evidente difficoltà a rimanere attenti o a concentrarsi su uno stesso compito per un periodo di tempo sufficientemente prolungato. Variano dalla difficoltà nel prestare attenzione ai dettagli, a banali “errori di distrazione”, a compiti e lavori incompleti e disordinati.
Mostrano il comportamento tipico di chi non ascolta ed è facilmente distraibile da suoni o da altri stimoli irrilevanti, dando sempre l’impressione di avere la testa da un’altra parte quando gli si parla direttamente. Il loro banco è spesso disordinato, così pure il materiale scolastico.
Spesso gli Adhd sognano a occhi aperti, vanno facilmente in confusione e si muovono lentamente. Hanno difficoltà a elaborare le informazioni con la stessa rapidità e precisione degli altri coetanei.
Durante l’adolescenza i sintomi legati alla motricità sembrano attenuarsi, ma ciò non significa che il problema sia risolto, a volte la sindrome Adhd può trasformarsi in depressione, condotta antisociale, oppure esplodere in fortissimi stati di ansia. In questa età i problemi di identità, di accettazione nel gruppo e di sviluppo fisico sono problematiche che non riescono a essere efficacemente affrontate da un ragazzo con tale fragilità.
Accade poi, non di rado, che questa sindrome si associ ad altre come disturbi specifici dell’apprendimento.
La scuola italiana è cambiata molto negli ultimi dieci anni. Dal 2012 si parla nei consigli di classe degli studenti con Bisogni educativi speciali (Bes) e della didattica che quei bisogni soddisfa. Sono previste misure compensative e dispensative e Piani Didattici Personalizzati (PDP). In ballo c’è sempre l’inviolabile diritto allo studio e il successo formativo dei ragazzi, ma è chiaro che le difficoltà illustrate non possono trovare riscontro soltanto in ambito scolastico.
C’è bisogno di una maggiore sensibilizzazione rispetto a queste fragilità e, in generale, di approfondimento verso tutti quegli atteggiamenti che a volte tendiamo a etichettare con termini di altri tempi, come “svogliatezza” o “inadeguatezza”.
Silvia Rossetti