L’acqua degli oceani è sempre più… “plastificata”! Le stime più recenti parlano di ben 150 milioni di tonnellate di plastica presenti attualmente nelle acque oceaniche.
E ogni anno, testardamente, continuiamo a riversarne in mare circa 4,8-12,7 milioni di tonnellate. Tanto che, in assenza di drastici cambiamenti di rotta, si prevede (stime dell’Unione Europea) che entro il 2050 il peso delle plastiche presenti nei mari sarà superiore a quello dei pesci!
Purtroppo, l’osservazione ad occhio nudo tende ad ingannare lo sprovveduto osservatore, offrendo un’immagine apparentemente ridotta del problema.
Infatti, solo una piccola parte di questa “plastica oceanica” galleggia sull’acqua in modo visibile. Beh, “piccola parte” per modo di dire, stiamo comunque parlando di almeno 25 milioni di tonnellate di detriti plastici. Ma va considerato che la maggior parte di questi rifiuti sfugge alla nostra vista, o perché ormai ridotta a microplastica, o perché è affondata nelle profondità marine.
Quantità enormi che, però, rappresentano solo una frazione della massa di rifiuti di plastica che giace ancora sulla terraferma.
Questo preoccupante scenario, infatti, va interpretato in un contesto più ampio, concernente la produzione di plastica a livello mondiale, come evidenzia una nuova ricerca sul tema (pubblicata su “Science of The Total Environment”), realizzata da un gruppo di studiosi guidati da Atsuhiko Isobe, dell’Università giapponese del Kyushu.
In base ad essa, si stima che, dal 1950 ad oggi, la produzione mondiale di oggetti di plastica “scartati” (gettati via o inceneriti) ammonti a circa 5.700 milioni di tonnellate. Ciò corrisponde ad una produzione annuale di circa 31,9 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica mal gestiti, che vengono rilasciati nell’ambiente naturale (il 20% di essi proviene dalle attività delle industrie della pesca). Di questi, 1,15–2,41 milioni di tonnellate vengono riversate ogni anno in mare attraverso i fiumi.
Isobe e colleghi, inoltre, stimano che 540 milioni di tonnellate siano ammassate in discariche mal gestite, discariche selvagge o semplicemente sul ciglio della strada e da lì potrebbero finire in mare. Gli oceani sono quindi minacciati da un’inondazione di plastica ancora maggiore in futuro, soprattutto alla luce della produzione di plastica che continua senza ostacoli.
Nella loro ricerca, Isobe e colleghi hanno potuto calcolare la quantità di plastica non più visibile nell’oceano usando modelli che includevano, per esempio, i processi di invecchiamento dei materiali o i dati del vento per tracciare il movimento delle particelle.
Come già sottolineato, si tratta della maggior parte della quantità totale, dal momento che le plastiche grandi e le microplastiche che galleggiano sulla superficie dell’oceano rappresentano ciascuna soltanto il 3% circa del totale dei rifiuti plastici nell’oceano. Il team di ricerca giapponese ha anche stimato che una quantità simile di microplastica si trovi sulle spiagge, mentre quasi un quarto dei rifiuti plastici oceanici di solito finisce di nuovo sulle coste del mondo.
Della enorme quantità di plastica oceanica non più visibile, la metà è costituita da plastiche pesanti (come il polietilene tereftalato e il cloruro di polivinile) che si sono depositate sul fondo dell’oceano.
La restante metà è invece costituita da vecchie microplastiche, liberate in mare per decenni; da allora, sono state rimosse dalla superficie dell’oceano e dalle spiagge, oppure depositate sul fondo del mare o altrove negli oceani, come nel ghiaccio marino ai poli.
“Siamo stati in grado di stimare – spiega Isobe – la quantità di plastica nell’oceano, ma questa è solo la punta dell’iceberg di questa spazzatura sulla Terra”. Per questa ragione, il prossimo passo del gruppo di ricerca coordinato da Isobe sarà quello di provare a determinare dove si trovi il quasi mezzo miliardo di tonnellate di plastica depositate sulla terraferma. “Questo – conclude Isobe – sarà un compito erculeo. Sono stati fatti pochi progressi nel campo della ‘plastica terrestre’ a causa della mancanza di metodi di osservazione”.
Maurizio Calipari