Lavoro, economia, impresa sono termini essenziali del dibattito politico, che riguardano la visione del sistema Paese presente e futuro in un’ottica di responsabilità intergenerazionale.
Termini che si confrontano con il paradigma dell’ecologia integrale da intendersi come attenzione e cura della persona e della sua dignità, cura delle relazioni e dell’ambiente, soprattutto in questo tempo segnato, ancora, dalla crisi sanitaria e ora da una drammatica e nefasta guerra.
Compromettendo quella transizione ecologica che è conversione ad un modello di sostenibilità, ad un paradigma di economia civile così come prospettato in The economy of Francesco, il processo avviato dal Papa ormai due anni fa, ad Assisi, per ridare anima all’economia.
Inclusione, reciprocità, solidarietà sono alla base di una conversione che chiama in causa politici, imprenditori, studiosi, lavoratori, cittadini in una prospettiva etica di cambiamento antropologico.
Non è un caso che il Papa si rivolga ai giovani economisti di tutto il mondo, perché con la loro energia e intelligenza siano chiamati ad incidere nelle città, nelle università, nelle scuole, nel mondo del lavoro e del sindacato, nelle imprese e nei movimenti per elaborare temi e nuovi paradigmi.
In un contesto in cui la disoccupazione e il precariato non sembrano avere margini di miglioramento con divaricazioni sociali ed economiche esasperate da pandemia e guerra (con il fenomeno dei NEET, giovani che non studiano e non lavorano, che non sembra trovare ancora concrete soluzioni), le nuove generazioni sono chiamate ad un cambio di mentalità essenziale oltre che a sopportare e superare vecchi e irrisolti problemi. A volere un lavoro che sia libero, creativo, partecipativo e solidale, a generare condizioni perché ciò sia realizzabile e non solo auspicabile, formando classi dirigenti politiche e imprenditoriali tali da non cedere alla logica del mero profitto.
Il lavoro lo si crea, lo si cerca, lo si prepara e non lo si aspetta, al lavoro ci si educa, ci si forma, anche nelle comunità ecclesiali.
Così come da ripensare dovrebbe essere il senso e il ruolo di ogni istituzione, preposta alla formazione, perché economia e lavoro siano termini comprensibili di un futuro concretamente realizzabile e si ponga fine a quel cortocircuito sempre più ricorrente tra il mondo della scuola e la vita. Il lavoro non sia, così, una moderna utopia.
Se il lavoro è dignità, così come è, non può essere questo un tema tralasciato dalla catechesi ordinaria, non può non essere all’attenzione di credenti e cittadini responsabili di una nuova cultura economica e di impresa, di nuovi stili di vita e di consumo, così come sempre ribadito dalla Dottrina Sociale della Chiesa.
Restano profetiche le parole pronunciate da papa Francesco ai lavoratori dell’Ilva a Genova nel maggio 2017: «Il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro. Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. Se lui non ha quest’esperienza della dignità del lavoro, non sarà un buon imprenditore. Condivide le fatiche dei lavoratori, condivide le gioie del lavoro, di risolvere insieme i problemi, di creare qualcosa insieme. Se e quando deve licenziare qualcuno è sempre una scelta dolorosa e non lo farebbe, se potesse».
Lavoro, impresa, economia come modelli cooperativi di occupazione possono leggersi nella dimensione poliedrica della politica tracciata da papa Francesco dove sono inseriti i poveri, i deboli, gli sfruttati, i disoccupati, i cassaintegrati, tutti con la loro cultura, i loro progetti, le loro potenzialità. Il lavoro dignitoso è la via effettiva per la realizzazione del bene comune.
Francesco Del Pizzo, docente di Dottrina Sociale della Chiesa e Sociologia, PFTIM sez. S. Tommaso d’Aquino Napoli