È piuttosto recente la distinzione fra editore, tipografo e libraio. In passato, si considerava editore chi si dedicava con intenti critici alla pubblicazione di opere inedite oppure ripresentava un testo già noto ma emendato con note e commenti.
Guadagnavano fama di editori eruditi, rètori o scoliasti di professione e non, che si operavano a trascrivere manoscritti per offrirli in vendita a studiosi o per conservarli nelle biblioteche.
Con l’invenzione della stampa gli editori divennero abili tipografi ma anche dotti umanisti: approfondivano lo studio delle lingue antiche, preparavano trattati di scienza e di religione, attendevano a disegnare, incidere e sperimentare i più perspicui caratteri per la stampa.
Ad Aldo Manuzio (forse il più grande!) si deve l’invenzione del corsivo. Così, per merito loro, questa industria, nata dal desiderio di moltiplicare il lucroso spaccio delle carte da gioco e delle immagini sacre, porgeva validi contributi alla Rinascenza.
Mi piace paragonare, paternamente, la nascita di un libro a quella di un figlio: dopo averlo concepito con un gesto di amore (attività redazionale), c’è la gestazione (formato, progetto grafico, scelta dei caratteri e correzione delle bozze) e, infine, il parto.
Il parto è la cosa più delicata e, come avviene per i bambini, sono diverse le figure – tutte importanti – che se ne occupano: ginecologo, ostetrica – Antonella Ossorio direbbe La mammana (leggetelo, è bellissimo) – e infermieri. Arriva poi il momento di portare il bambino al nido, per la felicità di chi lo sta aspettando!
Allo stesso modo, per la nascita di un libro sono necessari un bravo tipografo, un legatore, una rete promozionale, un distributore e un ottimo libraio, che consegni ai lettori questo meraviglioso oggetto che farà la loro felicità.
Io spero di poter mettere al mondo ancora tanti figli, editorialmente parlando.
Francesco D’Amato, editore