Il governo Meloni entrerà nella storia della Repubblica come il primo guidato da una donna. Dovrà essere giudicato per i suoi atti, ovviamente, ma questo primato è definitivo e segna comunque un passaggio epocale.
Almeno altrettanto epocale, però, è il fatto che si tratti del primo esecutivo con una leadership e un baricentro dichiaratamente di destra. Orgogliosamente di destra.
Questo termine del lessico politico è parte integrante dell’esperienza delle democrazie occidentali e anche nella stagione post-unitaria del nostro Paese ha avuto piena cittadinanza. Ma dopo la dittatura fascista e la seconda Guerra mondiale è diventato inevitabilmente un “sorvegliato speciale”.
In questo senso l’onorevole Meloni ha l’occasione storica di dimostrare con i fatti (e con le parole, che hanno il loro peso) che in Italia esiste una destra di capace di andare oltre ogni ambiguità e – diciamolo pure – nostalgia e di governare in modo responsabile ed efficace.
A un esecutivo che nasce con tutti i crismi costituzionali non si può che augurare “buon lavoro”.
Lo ha già fatto a nome di tutti gli italiani lo stesso presidente della Repubblica. Chi ha a cuore il bene di questo Paese non può puntare sul tanto peggio tanto meglio. Le sfide che abbiamo davanti o, meglio, in cui siamo già immersi, sono di portata tale da non consentire pause e deragliamenti.
Il governo può contare sulla maggioranza all’interno del Parlamento, come prescrive la Costituzione, ma sarebbe gravemente miope se non tenesse conto del fatto che una larga maggioranza di cittadini ha votato per partiti che ora sono all’opposizione o non ha votato per nulla. Il governo, ogni governo, deve agire nell’interesse di tutti gli italiani, non solo di una parte. Balza agli occhi un grande bisogno di inclusione politica, ma anche e forse soprattutto sociale.
La crescita economica, messa a dura prova dalla crisi energetica, dalla guerra e dall’inflazione, non può darwinianamente lasciare per strada le fasce più deboli.
E’ proprio da queste ultime, invece, che occorre ripartire, rinsaldando a tutti i livelli i vincoli di solidarietà, dentro e fuori i confini del Paese. Forse non sarebbe male far tesoro della lezione del Regno Unito, che con l’uscita dalla Ue era diventato un mito dei sovranisti di casa nostra.
I fatti britannici più recenti dimostrano in modo eclatante che non è tagliando le tasse ai più ricchi che si sostiene e si rilancia l’economia e non è da soli che si possono affrontare i marosi della finanza internazionale, anche se si ha la sterlina come moneta e tracce di impero ancora sparse nel globo.
Non è tempo di sovranismi e di isolazionismi.
Tornano piuttosto alla mente le parole del capo dello Stato per i 140 anni della nascita di De Gasperi. Lo statista trentino, secondo Mattarella, “riuscì a dare un nuovo fondamento all’idea di Patria, lontana dai nazionalismi regressivi che avevano gettato il Continente nella barbarie e lo fece anche aprendo le porte al risorgere dell’idea di Europa”.