Quel dolore che non ha età

Dallo scoppio della pandemia, il suicidio è divenuto la quinta causa di morte tra i ragazzi dai 10 ai 19 anni.
Foto di Alexa da Pixabay

Il dolore non ha età, genere o razza. Assistiamo inermi all’aumento di atti estremi che coinvolgono bambini e adolescenti. Dalla pandemia ad oggi il suicidio è diventato la quinta causa di morte tra i ragazzi dai 10 ai 19 anni. 

I motivi dell’aumento di questo fenomeno sono vari. Alle nuove generazioni manca la speranza che le condizioni di vita possano migliorare.

Le incertezze riguardano tutti gli ambiti di vita, da quello economico a quello ecologico-ambientale: hanno affrontato una pandemia, crolli finanziari e oggi l’incombenza di una guerra che sta dettando nuove regole di carattere mondiale. Eppure quella che osserviamo crescere è una generazione sensibile e maggiormente incline a manifestare il proprio disagio psicologico. 

In questo quadro d’insieme le fragilità assumono tratti drammatici, con ragazzi a volte preda di un branco che acquista potere dall’unione dei singoli che ne entrano a far parte.

Tutto ruota intorno alla conquista di potere per riuscire a mantenere agli occhi del mondo un’immagine di un sé forte, rispetto ad un altro considerato oggetto delle proprie vessazioni, quindi inferiore. Dinamiche amplificate dall’uso dei dispositivi tecnologici che potenziano gli effetti di un fenomeno pre-esistente, ma che per la natura degli strumenti utilizzati diviene ancora più feroce.

Gli scambi sono più veloci, si azzerano le distanze, lo schermo rende anonimi i messaggi violenti che raggiungono il malcapitato ovunque, ad ogni ora del giorno e della  notte. 

L’unico modo per affrontare e arginare tale fenomeno è agire attraverso interventi preventivi, che possano coinvolgere i ragazzi fin dalle elementari.

Azioni volte ad intercettare il disagio dei ragazzi per porvi rimedio incentivando il ricorso a figure specializzate o anche solo a denunciare tali atti ai genitori o alle insegnanti. Riuscire a prevenire darebbe anche la possibilità agli stessi bulli di comprendere la natura delle proprie azioni, in un’ottica di empatia e condivisione, anch’essi vittime di una società sempre più cieca di fronte alle reali necessità dei giovani.

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