Il Reddito di cittadinanza è il tormentone dell’ultima legislatura e sembra esserlo anche in queste settimane in cui il neo governo lavora alla programmazione politico-economica. Proposto come strumento sociale per restituire dignità all’uomo strappandolo all’indigenza temporanea, pertanto nobile nell’intento, ha poi trascinato con sé malcostume, da una parte, e malcontento, dall’altra, fino a meritare, ahimè, la soppressione totale entro il 2024.
Eppure, dalla stessa compagine del governo in carica, giunge una proposta che è degna di attenzione e riflessione. Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha offerto una serie di dati intorno ai quali ha costruito la sua ipotesi. In Italia ci sono 364.101 percettori di reddito nella fascia tra i 18 e i 29 anni. Di essi 11.290 possiedono solo la licenza elementare o nessun titolo, e altri 128.710 soltanto il titolo di licenza media.
«Noi riteniamo – ha dichiarato il ministro – che si debba prevedere l’obbligo di completare il percorso scolastico per chi lo abbia illegalmente interrotto o un percorso di formazione professionale nel caso di persone con titolo di studio superiore, ma non occupate né impegnate in aggiornamenti formativi, pena in entrambi i casi, la perdita del reddito, o dell’eventuale misura assistenziale che lo sostituirà dal 2024».
È un espediente per scoraggiare? È una delle forme attraverso cui si esplica il concetto di “merito”? Non sappiamo. Tuttavia investire in istruzione è sempre buona politica. Sollecitare ad una formazione professionale significa potenziare tanti settori lavorativi in ombra. In definitiva, il reddito di cittadinanza, o un’altra misura assistenziale, può diventare un investimento per nulla trascurabile. Far di necessità virtù, recita il proverbio.
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