Dopo la nascita di un figlio quasi 1 donna su 5 (18%) tra i 18 e i 49 anni non lavora più e solo il 43,6% permane nell’occupazione (il 29% nel Sud e Isole). Motivazione prevalente la conciliazione tra lavoro e cura (52%), seguita dal mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29%) e da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19%).
La quota di quante non lavoravano né prima né dopo la maternità è del 31,8% e del 6,6% quella di quante hanno trovato lavoro dopo la nascita del figlio.
È quanto emerge dal “Rapporto Plus 2022. Comprendere la complessità del lavoro” che raccoglie i risultati dell’indagine Inapp-Plus condotta su un campione di 45.000 individui dai 18 ai 74 anni e che è stato presentato a Roma, in occasione della Giornata internazionale della donna.
“Si tratta di un fenomeno che ha pesanti effetti demografici ed economici”, ha osservato Sebastiano Fadda, presidente dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), sottolineando che “l’Italia è l’ultimo Paese per tasso di fecondità in Europa, e proprio nel 2022 è stato toccato il minimo storico di 400.000 nuovi nati; peraltro, la maternità continua a rappresentare una causa strutturale di caduta della partecipazione femminile”.
“Il Paese – ha continuato Fadda – non può più sopportare, oltre alla ‘fuga di cervelli’, anche questa altra forma di dispersione del capitale umano legata alla mancata valorizzazione e sostegno dell’occupazione femminile”.
“Percorso delle donne verso una piena e stabile occupazione è spesso una vera e propria corsa a ostacoli”
“Il percorso delle donne – ha affermato il presidente dell’Istituto nazionale -, verso una piena e stabile occupazione è spesso una vera e propria corsa a ostacoli e ciò nonostante tra le lavoratici si registrino percentuali di laureate e di altamente qualificate più che doppie rispetto agli uomini. Ma si osserva una marcata distanza anche nell’accesso e nelle caratteristiche dei ruoli di responsabilità: le donne con ruoli apicali hanno la supervisione di una sola persona contro le sette persone supervisionate dai lavoratori maschi”.
“Il cambio di passo – ha osservato Fadda – non può essere affidato a singoli interventi spot, ma richiede una organica convergenza di tutte le politiche (dalle politiche fiscali ai sistemi di welfare, dagli orari di lavoro alle politiche per la famiglia) per sostenere da un lato le scelte di procreare e allevare i figli e d’altro lato l’effettiva parità di genere in tutta la vita lavorativa e sociale, e vorrei aggiungere, anche ‘pensionistica’”.
Dal Report, per esempio, emerge che per conciliare lavoro e cura dei figli, circa un quarto degli intervistati ritiene fondamentale un orario di lavoro più flessibile, mentre un 10% indica la possibilità di lavorare in telelavoro o smart working.
Il part-time è più frequentemente indicato dalle donne (12,4% rispetto al 7,9% degli uomini). Quest’ultimo dato, unito a quello relativo all’utilizzo dei congedi parentali (68,6% per le donne contro il 26,9% degli uomini) ribadisce un modello familiare che relega la componente femminile nel ruolo di caregiver principale, con evidenti ripercussioni occupazionali e retributive sia nel breve e che nel lungo periodo.
Alberto Baviera
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