A Nocera Inferiore scandalizza la santità di un giovane, negli Stati Uniti si inorridisce per un’opera d’arte, ma non ci si interroga sul perché i nostri ragazzi arrivino a filmarsi mentre aggrediscono un disabile nella stazione di Sarno.
Non possiamo incolpare sempre e solo la società e i media con il loro carico di influencer. Arroccati nella difesa del pargolo, preferiamo prendercela con i compagni e gli educatori.
Siamo noi adulti, a nostra volta distratti dallo smartphone, che non troviamo più il tempo per leggere una storia e giocare con i nostri bambini, ragazzi, giovani. Parliamo poco e prestiamo poca attenzione all’ascolto, anche dei silenzi. Meglio un reel.
Le stagioni della vita sono cambiate. Siamo appesantiti da troppe cose. L’essere onlife – perennemente connessi anche quando dormiamo – non aiuta. Non riusciamo a staccare. Quando accade ci sentiamo persi.
Molti fenomeni sono frutto di un degrado familiare e sociale, ma molti altri sono conseguenza della distrazione casalinga o della convinzione che «mio figlio non farebbe mai una cosa del genere». Certezza che non possono essere dogmi.
Ho vissuto da vicino l’episodio che ha avuto il beato Carlo Acutis ignaro protagonista. Per chi non lo sapesse, alcuni genitori si sono lamentati perché in una scuola primaria di Nocera Inferiore si è parlato di questo giovane testimone della fede.
Le immagini dell’urna in cui sono custoditi i suoi resti mortali sono diventate le «foto della salma». Bastava fare una ricerca online per capire di cosa si stesse parlando. Una semplificazione che evidenzia l’ignoranza e la superficialità con cui ci si approccia a certi temi. Probabilmente l’istituzione scolastica avrebbe potuto gestire meglio l’organizzazione dell’iniziativa. Tuttavia il polverone sollevato è stato esagerato.
Questa santità semplice, contemporanea, giovane, ha scandalizzato alcuni, favorendo titoloni, virulenza social e invettive per una scuola laica (o laicista?) a convenienza. Fortunatamente, non lo dico perché cattolico e direttore di un giornale diocesano, ma perché mi sforzo di essere coerente con il tempo vissuto, nella stragrande maggioranza dei casi ci si è schierati a difesa del corpo docente e della dirigente.
La testimonianza di un giovane che ha vissuto la sua vita in modo eroico pare indigni alcuni più della barbarie rielaborata in reel, videogiochi e filmati, pane quotidiano dei nostri bimbi.
In tutto questo bailamme mi colpisce, inoltre, che tantissimi genitori abbiano appreso dell’incontro solo quando la notizia è stata diffusa dalla stampa. I figli non avevano riferito nulla. Non è più di moda chiedere: «Cosa hai fatto a scuola?». Ripartiamo da questa semplice domanda per riaprire un dialogo con le nuove generazioni.
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