Si è mai vista un’emergenza che dura da almeno quarant’anni? Eppure nel dibattito pubblico la questione migratoria continua costantemente a essere proposta in questi termini, così come emergenziale è l’approccio da cui la politica non riesce a emanciparsi nel fronteggiare questo fenomeno che invece è epocale e strutturale.
Anche in questa fase in cui si registra un aumento significativo degli arrivi via mare nel nostro Paese, i numeri sono ben lontani dal giustificare un allarme generalizzato.
A sostenerlo è lo stesso ministro dell’Interno che ha qualificato la dichiarazione dello stato d’emergenza da parte del governo come una scelta tecnica per poter snellire e velocizzare alcune procedure. Si potranno presto verificare gli effetti concreti di questa decisione. Ma resta il fatto che all’opinione pubblica viene sistematicamente veicolato un messaggio di tutt’altro segno, come se l’immigrazione fosse un pericolo mortale da cui l’Italia deve difendersi o nella migliore delle ipotesi un problema essenzialmente di ordine pubblico.
Non è un caso che, in parallelo alla dichiarazione dello stato d’emergenza, in Parlamento il “decreto Cutro” sia diventato oggetto di modifiche in senso ulteriormente restrittivo rispetto a un testo che già in origine risultava molto controverso. E a ben vedere sulla stessa linea si colloca anche un altro discusso provvedimento, quello che in questi mesi ha penalizzato fortemente l’azione di soccorso delle Ong.
L’Alto commissario Onu per i diritti umani ha chiesto in questi giorni che quelle norme siano riviste per non criminalizzare “coloro che sono coinvolti nel fornire assistenza salva-vita”. Proprio l’aumento degli sbarchi mentre le Ong sono messe ai margini, peraltro, dimostra come l’accusa che veniva loro rivolta di incentivare i movimenti in mare fosse priva di fondamento.
Una delle conseguenze più negative dell’approccio emergenziale è la rimozione quasi totale dal dibattito pubblico del tema dell’accoglienza e soprattutto di quello dell’integrazione.
Quest’ultima, come tutti gli studi attestano concordemente, è il principale e più efficace antidoto al rischio di comportamenti criminali o comunque socialmente pericolosi. Quindi, anche in un’ottica meramente securitaria, le politiche di integrazione dovrebbero essere considerate una priorità. Invece si alimenta ancora una volta l’illusione che i problemi possano essere risolti con respingimenti e rimpatri, impresa che finora si è rivelata del tutto velleitaria. Per non parlare dell’aspetto economico.
Il Documento di economia e finanza approvato nei giorni scorsi dal governo dà pochissimo spazio alla questione migratoria.
Tuttavia, nel disegnare gli scenari futuri da qui al 2070, segnala che un significativo aumento degli immigrati avrebbe effetti di grande rilevanza sulla diminuzione del debito pubblico in rapporto al Pil, mentre un equivalente calo dell’immigrazione farebbe crescere il debito in modo esponenziale.
Sono simulazioni e il 2070 è lontano, si dirà. Ma sul punto è nata una polemica nella maggioranza e dunque non si tratta di una questione meramente accademica. Del resto, che un’immigrazione ben governata possa essere anche un’importante risorsa per i sistemi economici non è una novità, come testimonia l’esperienza di altri Paesi non solo europei e come ben sanno tanti nostri imprenditori.
Stefano De Martis
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