Riconoscere il valore della natura

La natura paga un prezzo pesante per la nostra smodata rincorsa alla modernità. Non c’è da stupirsi se, ogni tanto, ci presenta il conto.

Da piccola trascorrevo ore in campagna con i nonni. C’erano alberi di albicocche, noci, fichi. Pomodori, patate e cipolle. Oltre tutto ciò che piantavamo e raccoglievamo, c’erano tanti altri “inquilini”: merli, civette, lepri, volpi, talpe e formiche. Anche un frutto marcio era indispensabile: diventava cibo per loro o per il terreno.

Ricordo, poi, tanti fossi tra le colture: consentivano all’acqua di defluire senza far marcire i semi o allagare aree circostanti ed in parte essere “bevuta” dal terreno e, quindi, dalle radici. Quante funzioni in un solo fazzoletto di terreno eppure spesso si preferisce costruire strade, case, parcheggi, negozi.

Si parla perciò di “consumo di suolo”, un fenomeno che viene monitorato perché associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale che ha ricadute sulle case (habitat) di tanti esseri viventi, sulla produzione agricola, sul ciclo delle acque e, quindi, anche sugli effetti delle piogge sui territori.

Basti pensare che le superfici impermeabilizzate (tetti, strade e altre pavimentazioni in asfalto o cemento) non consentono alle piogge di infiltrarsi e il 90% di queste diventa un flusso che scorre sulle strade delle città causando, spesso, allagamenti e portando con sé molti inquinanti.

E così, non solo la qualità delle acque dei nostri fiumi e mari si abbassa, ma sono sempre meno quelle che tornano nelle falde sotterranee, depositi naturali importantissimi per garantire ai nostri rubinetti le quantità che servono.

C’è chi dice “è il prezzo da pagare per la modernità”, io invece direi per la stupidità di chi sa dare a tutto un prezzo, ma non riconosce il valore, soprattutto della natura e, quindi, della vita.

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