Agraria per molti è agricoltura, per Teresa Del Giudice è sinonimo di vita. Originaria di Nocera Inferiore, la professoressa di economia ed estimo rurale all’Università Federico II di Napoli è tra le massime esponenti della materia in Italia. Il territorio è nel suo DNA, sarà perché è cresciuta nell’azienda agricola di famiglia. Nella sua professione ha messo, dunque, la passione innata per la terra e la voglia di aggiornamento e di sviluppo che sta interessando il mondo agrario.
«Sono cresciuta imparando ad amare il ruolo dell’agricoltura nella società, nello sviluppo economico e nelle relazioni con le persone. Sin da piccola avevo deciso di intraprendere questa strada e l’ho fatto con grande decisione, contrastando anche i desideri della mia famiglia».
Rifarebbe tutto quanto?
«Lo rifarei e con maggiore convinzione. Prima era un sogno, ora è un amore maturo. In questo percorso ho trovato molto di più di quello che pensavo».
Da donna ha avuto difficoltà a rapportarsi con questo ambiente?
«Non in particolare, anche se eravamo meno ragazze e più ragazzi e tra i docenti la quasi totalità era composta da uomini. Certo, analizzando la diffusione di genere, si riscontrava, come accade oggi, che di donne ce ne erano di brave e stimate ma nei ruoli apicali c’erano per lo più uomini. Oggi accade meno spesso, ma le donne devono comunque dimostrare di più per riuscire a rompere il tetto di cristallo».
L’agraria ai più distanti e distratti potrebbe apparire come un qualcosa di contadino. Invece si approfondiscono aspetti relativi al territorio, alla biologia, all’alimentazione e non solo. Un luogo comune da sfatare?
«Sì, perché l’agricoltura oggi ha nuovi ruoli e nuove dimensioni. Abbiamo avuto una politica agricola europea che ha creato delle distorsioni. Oggi a causa dei trend demografici e delle diverse economie che stanno ridisegnando il mondo, l’agricoltura torna a diventare cibo, è il pilastro di ogni discussione e decisione politica. L’agricoltura in Italia è anche territorio e paesaggio. Senza agricoltura le nostre colline, montagne o pianure sarebbero destinate alla distruzione. Oggi è l’unico settore in grado di gestire lo spazio rimanente all’umanità».
Perché quanto più conosciamo il nostro ambiente/territorio meglio si potrà agire per difenderlo e tutelarlo?
«Certo, questo è uno dei grandi percorsi di ricerca e conoscenza: avere dei piani di sviluppo che tengano in conto questo aspetto. Cosa che prima non si faceva e l’Agro nocerino sarnese ne è l’emblema».
Si sente spesso parlare di coltivazioni biologiche. Di contro, ci sono gli ogm e, più di recente, la carne sintetica. Dove stiamo andando e come rapportarsi?
«Sono percorsi di sviluppo paralleli. Ogm e carne coltivata sono percorsi della scienza e non si fermeranno, dobbiamo essere rassegnati, non possiamo fermare la scienza. Noi non abbiamo avuto bisogno degli ogm perché non rappresentavano uno strumento che aumentava la nostra competitività. Ogm e carne coltivata sono innovazioni ad alto capitale che vengono realizzate al di fuori dell’agricoltura, sono brevettate. Quindi, veramente crediamo che serviranno ed estirpare la fame nel mondo? Il biologico è uno degli obiettivi della politica agricola. La visione del medio periodo punta ad avere un quarto della superfice agraria a biologico. Un segmento che cresce perché cresce l’innovazione. Non è pensabile in una realtà che richiede più cibo favorirne una che riduce la produzione se non supportata da forte innovazione. L’innovazione è presente anche nell’agricoltura integrata, a basso residuo, che oggi dà risultati eccezionali».
Lei è originaria di questa terra che di Agro sembra avere solo il nome. Il suolo è stato scempiato da uno sviluppo urbanistico incontrollato, da fabbriche un tempo solide, oggi meno e con altra vocazione. Cosa si potrebbe fare per salvaguardare ciò che resta?
«Non possiamo tornare indietro, ma possiamo e dobbiamo tutelare quello che resta. Abbiamo il San Marzano, il cipollotto nocerino. Abbiamo la necessità di tutelare il territorio: colline e parte montuosa in primo luogo. Non è possibile andare in tilt per tre gocce d’acqua. Indebolendo il territorio, indeboliamo noi stessi. Bisogna poi avere un approccio sistemico, una visione moderna. Avevamo, abbiamo una terra fertile con cinque produzioni l’anno, non accade in nessuna altra parte del mondo. Sarebbe assurdo pensare di tornare indietro. Dobbiamo pensare ad andare avanti per tutelare e valorizzare quello che c’è».
Tuttavia, nelle nostre zone non si parla mai di agricoltura.
«È un errore gravissimo. Si pensa sempre che l’agricoltura sia rappresentata dagli agricoltori nei loro passi di terra. L’agricoltura è la collina, la montagna e anche la pianura. Se non si capisce che anche nel nostro piccolo, come accade a livello mondiale, l’agricoltura moderna deve diventare il perno su cui costruire lo sviluppo con un approccio alla salute unico non saprei come risolvere il problema».
Perché un giovane che si appresta al diploma dovrebbe scegliere un percorso universitario di Agraria?
«Potrebbe sceglierlo se ha una certa propensione a questo mondo nuovo che stiamo disegnando. Poi perché oggi anche nella produzione più stretta c’è una quantità di modernità che è affascinante: automazione, sensoristica. Inoltre, con l’agricoltura si affronteranno le sfide che attendono l’umanità nel prossimo futuro: il risparmio idrico, l’inquinamento atmosferico. Senza contare che oggi si stanno facendo studi per l’agricoltura nello spazio; se vogliamo andare su Marte dobbiamo pure poter coltivare. Quindi, l’agricoltura è molto al di là del campo a cui eravamo abituati: comprende ingegneria, economia, management. È una cosa molto moderna e in linea con i tempi, ovviamente ci vuole una passione di base. Quello che si trova nel percorso di studi è molto di più di quello che ci si aspetta».
Ragionamenti che dovranno essere ulteriormente approfonditi perché, come dice la professoressa, «l’agricoltura è futuro». E i riconoscimenti ottenuti dal dipartimento di Agraria con sede nella reggia di Portici, che ha compiuto 150 anni, ne sono un esempio.
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