Il disturbo paranoide è documentato almeno da quando esiste la parola stessa, che in greco significa «pensiero a lato», attività mentale deviata. Platone utilizzò il termine riferendolo a chi, in ogni occasione, pensa e giudica per pregiudizio: si tratta, infatti, di un disturbo caratterizzato dal massiccio utilizzo della ragione a scopo difensivo.
Per soffrire di un disturbo paranoide non è necessario raggiungere il delirio in senso tecnico: è già presente anche quando c’è sospettosità, circospezione, permalosità e litigiosità. Nonostante i differenti gradi di patologia nei quali la paranoia si presenta, due elementi le caratterizzano certamente tutte: il riferimento ad un’idea centrale difficilmente rimovibile e l’aggressività sviluppata contro le altre persone.
Si può aiutare un paranoide?
La prognosi non è mai molto buona. Il paranoide raramente suscita sentimenti di simpatia e risulta difficile empatizzare con lui. La sua sospettosità lo mette sulla difensiva e lo rende propenso alla disputa e al contraddittorio, più che al confronto e al dialogo. Se poi si sente sfidato, c’è il rischio che passi alle accuse. Se non lo fa apertamente, probabilmente sta lavorando per far cadere in trappola l’accompagnatore e poterlo successivamente accusare.
È importante stabilire con lui un’alleanza: generare, cioè, un contesto in cui senta di potersi fidare. È la fiducia il primo gradino a dover essere ripristinato. È inutile cercare di convincerlo che la sua sospettosità è infondata o addirittura insensata oppure che ha sentimenti ostili o che deve desistere da un certo modo di relazionarsi.
Ai fini dell’alleanza è meglio che l’educatore si avvicini ricordandosi che dietro alla difesa della autonomia si nasconde la dipendenza cercata, ma temuta, e che le apparenze ostili mascherano una fragilità.
In secondo luogo, l’accompagnatore deve introdurre la massima chiarezza e non nascondere nulla di quanto riguarda la relazione con il paranoide. È poi necessario che sappia tenere sotto controllo la propria aggressività, che il paranoide tenta di indurre in lui per giustificare quella che avverte in sé.
Il paranoide, nel momento in cui si accorge di «dipendere» dall’accompagnatore, cioè comincia a trarre beneficio e a vivere l’aiuto come importante, non risponde con riconoscenza ma con l’essere guardingo.
Va però anche detto che questo tipo di personalità costituisce una grande sfida per l’educatore e può rivelarsi utile. Porta, infatti, alla ribalta il grande tema della fiducia, così basilare non soltanto per il paranoide ma per ogni persona. La vita vissuta non sempre gioca in favore della fiducia in essa; è sempre dietro l’angolo la tentazione di attribuire all’esterno la responsabilità di quanto si vive.
Il paranoide, attraverso vari cunicoli, porta anche il suo accompagnatore a chiedersi se la vita valga la pena di essere vissuta in compagnia di altri o se non sia preferibile un cammino in solitaria.
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